IL VATICANO E GLI EBREI

9 02 2010

DOPO IL CONCILIO VATICANO II

Il cammino della Speranza

 

 

  

Non vi aspettate un articolo breve: non potrebbe essere esaustivo. Non pensate che io mi accinga ad elaborare un trattato: non sarebbe di alcuna utilità , nè io sarei in grado di predisporlo. Non dovrete andare alla ricerca di migliaia di informazioni su testi o tramite internet: l’avrò fatto io per voi. Sarò quindi in grado di offrirvi un lavoro organico, che mi auguro essere unico nel suo genere su quanto in argomento.

 

                          

Questo scritto fa seguito al saggio [1] da me edito nel 2006, al quale rimando chi volesse approfondire argomenti sui quali, in questo lavoro, faccio solo un breve cenno per non ripetermi.

Questo saggio non tratta l’antisemitismo, ma vuole rappresentare il contributo personale (una goccia in un oceano)  che intendo dare per combattere questo “cancro dell’umanità”.

Quale futuro senza memoria?

 

PRESENTAZIONE

La conclusione del Concilio Vaticano II (7.12.65) ha stabilito, nella storia veramente  travagliata dei rapporti tra ebraismo e cattolicesimo, un netto spartiacque.

Quasi in analogia all’avvento di Gesù, che ha diviso la Storia dell’umanità in un ben definito avanti e post Era Volgare.

Fino a questa importante data (conclusione del Concilio), vale a dire per quasi duemila anni dalla nascita del cristianesimo, si sprecarono le vessazioni, le persecuzioni, gli atti ostili che spesso e volentieri si trasformavano in veri e propri eccidi, anche di massa, contro chi aveva la sola colpa di professare la religione israelitica.

Non ho alcuna intenzione di ripetermi su quanto ampiamente argomentato in [1] a riguardo dell’antisemitismo di matrice religiosa e delle sue nefande conseguenze.

Due, principalmente, le accuse rivolte agli Ebrei, a partire dai tempi di Gesù per arrivare a quelli moderni: la calunnia del “deicidio” e, conseguente, quella della “maledizione divina”. Tanto orrende e devastanti le stesse, da provocare direttamente uccisioni di massa durate per secoli e, indirettamente, quanto la storia recente ci ha tristemente lasciato in eredità.

Si avrà modo di vedere, in seguito, più nel dettaglio ciò che ha rappresentato il Concilio nei rapporti tra cristianesimo ed ebraismo.  

Nell’era del dopo-Concilio, le relazioni tra il Papato e gli Ebrei sono state molto simili ad una strada fatta prima di discese, e poi di salite. Ma (almeno così si spera) essa rappresenta ormai un percorso unidirezionale,  quale quello del tempo (sempre in avanti, impossibile fermarlo). Un cammino analogo a quello di ogni vita umana.

Il cammino della Speranza.

Proprio riflettendo su tutto ciò, intendo elaborare un saggio (non certamente un trattato) che sia esaustivo ma, nello stesso tempo, sintetico. Un lavoro soprattutto organico, in grado cioè di offrire un quadro “unico”, non frammentato della storia del post-Concilio, di fatto appena iniziata. Valutando gli aspetti positivi, ma anche gli “intoppi” che, lungo questo cammino, si sono manifestati. Questi ultimi, a mio avviso, possono tuttavia trasformarsi in uno stimolo per superarli e proseguire ancora con maggior lena lungo la strada del Dialogo.

Tuttavia, prima di iniziare il lavoro, mi sembrano opportune alcune puntualizzazioni.

Innanzitutto, perché ho scelto di parlare di Vaticano e non di Cristianesimo in generale, o di Chiesa in particolare? Tutta la cristianità, e non solo la Chiesa cattolica, fu da sempre impregnata di un feroce e “convinto” antisemitismo, di vero “astio” nei confronti degli ebrei. Sfociato in vessazioni, insegnamento del “disprezzo”, persecuzioni contro gli stessi, Inquisizione, pogrom, ecc. Basti, ad esempio, ricordare cosa rappresentarono in tal senso il disumano antisemitismo di Martin Lutero e, quello non certamente tenero, di  Giovanni Calvino.

Ciò è, tra l’altro, addebitabile al fatto che una lettura letterale, piuttosto che sapienziale,  delle proprie scritture può alimentare avversione verso gli altri, con tutto quello che ne può conseguire. 

Dopo la Shoà, si potè assistere ad un “ravvedimento” di buona parte delle confessioni cristiane, compresa quella cattolica ed ortodossa.

In secondo luogo,  perchè intendo esaminare il comportamento della Chiesa cattolica e, nello specifico, del Vaticano? Poiché essa è ben rappresentata nella sua totalità dal Pontefice (il successore di Pietro) che ne indirizza, di fatto, la “politica”.  Il Vaticano, nel suo complesso è gerarchizzato al massimo, presente in ogni parte del mondo, parlante con una sola voce: quella del Papa..

Ritengo anche utile spendere due parole sul Revisionismo storico,  che oggi va tanto di moda. Da parte di alcuni  personaggi (ai quali negli ultimi anni si è pure aggiunto uno Stato non solo sovrano, ma anche membro dell’ONU), che si auto-definiscono storici [?], viene propugnato il “negazionismo”. Essi, cioè, negano che sia mai stata progettata e, men che meno, attuata (ma, grazie al Cielo, non portata a pieno compimento) soluzione finale nel confronto degli Ebrei (la Shoà). Di conseguenza, costituisce un’eresia il solo accennare all’esistenza dei campi di concentramento  (i Lager nazisti) e dei forni crematori. Sono tutte frottole, fandonie, invenzioni.

Rimango, a tal punto, semplicemente esterrefatto. Si arriva ad avere la spudoratezza di negare addirittura l’evidenza di quanto “provato” a livello mondiale, tramite resoconti di prima mano da parte di chi ha partecipato alla liberazione dei campi di concentramento (tuttora visibili), attraverso filmati, interviste, foto e quant’altro dei sopravvissuti. Lo si nega spudoratamente. Ne deduco, allora, che si possa smentire e stravolgere non solo la preistoria (che documentazione abbiamo a suo supporto?), ma anche la stessa Storia, “raccontata” prima verbalmente e, solo successivamente, per iscritto. Senza neppure l’appoggio di documentazione, di immagini fotografiche, né tantomeno di riprese filmate. E che dire (a riprova) della mancanza  dei  “sopravvissuti” di quei tempi (comprendendo, tra questi, sia  Gesù sia Maometto)?

Ma allora che cosa abbiamo, fin qui, studiato ed imparato dai libri di scuola?

E  sì, poiché oggi è diffuso il timore che, quando non ci saranno più i sopravvissuti della Shoà (nel mondo manca oramai poco, essendo trascorsi già troppi anni da allora), verrà a mancare la “documentazione vivente”, a riprova di questa immane tragedia umana, di chi ha vissuto sulla propria pelle ciò che ha rappresentato ed attuato il  nazismo.

Che assurdità!

Tuttavia, affinchè tutte le generazioni future possano ricordare l’immane tragedia generata dal nazismo, è stato raccolto un immenso volume di documentazioni in proposito. Non solo Israele, ma anche molti altri Stati, dispongono di testimonianze di sopravvissuti, documentazione scritta, fotografica, filmata su quanto è accaduto nei campi di sterminio  (termine più appropriato di concentramento). Attestati sempre in via di integrazione.

Primo Levi “parla e racconta” attraverso i suoi libri come se fosse ancora presente. Egli “vive” nel ricordo che di lui ha tutta l’umanità. 

A me non risulta che la Storia (quella con la esse maiuscola) si sia mai basata sui sopravvissuti in grado di raccontarla. Non c’è, dunque, qualcosa che “non quadra”?  

Se si nega l’evidenza, i documentari, i filmati, le foto e i racconti dei “salvatori”, quelli dei sopravvissuti, allora di che si parla?

E, per finire, una personale riflessione proprio sull’argomento in discussione: il tema stesso del saggio, che riguarda, in definitiva, quello che va sotto la dizione Dialogo Interreligioso.

E’ vero che Ebraismo e Cristianesimo (ma anche Islamismo) hanno radici comuni. E’ innegabile. Ma è altrettanto vero che, lo si voglia o no, le due Fedi sono teologicamente inconciliabili.  Ma è normale. Altrimenti non esisterebbe né il Cattolicesimo né l’Ebraismo (e neppure le altre confessioni Cristiane). Il sincretismo non è mai stato (a mio avviso, giustamente) mai ricercato né voluto. Mi conforta, in questo mio convincimento, un altro studioso delle Religioni [2].

Ma proprio partendo da queste evidenti, connaturate diversità, e accettandole come “dono” divino, è possibile adoperarsi per  far sì che le Religioni, anziché fomentatrici di odio, di guerre, di spargimenti di sangue innocente, divengano sollecitatrici di Pace. Quella vera, però, e non la mors tua, vita mea. Si può e si deve perseguire proprio questo, attraverso il dialogo interreligioso.

Esso  è come un’automobile, costruita e già in movimento, la quale, per continuare il viaggio, ha però bisogno di essere sempre rifornita di carburante, e che i “guidatori” non facciano troppo uso del freno. 

Che le Fedi possano trasformarsi in Religioni per la Pace.

Mi propongo, dunque, di elaborare un’analisi dettagliata, una “cronistoria” organica e ragionata (laddove possibile) sulla tematica in argomento, guardando con ottimismo al futuro. Perché il presente rappresenta le radici del tempo che verrà. Che sarà come noi lo progetteremo, e saremo determinati a costruirlo. Nulla di quanto l’uomo, la persona, può fare è predestinato. Il futuro è nelle nostre mani.

Personalmente  non sono affatto fatalista, non credo nell’astrologia, né tantomeno negli oroscopi. Il futuro non si può prevedere, ma lo si può creare.

Solo che lo si voglia.

IL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II

Gli accadimenti significativi che segnarono pesantemente i rapporti tra cristianesimo ed ebraismo sono stati da me trattati in [1]. Ad esso rimando gli eventuali interessati.

I Documenti conciliari sono formati da 4 Costituzioni, 9 Decreti, 3 Dichiarazioni.

Facciamo, allora, una breve cronistoria di come si è giunti ad indire questo Concilio [3], le cui risultanze hanno drasticamente mutato,  si potrebbe dire addirittura “stravolto” in positivo, l’approccio tra le due fedi monoteistiche.

Per una migliore comprensione della portata che questo Documento del Cattolicesimo ha rappresentato, allora come ora, è bene tuttavia fare un passo indietro.

Alla figura di Papa Giovanni XXIII (Angelo Roncalli, nato a Sotto il Monte [BG], il 25.11.1881, morto il 3.06.1963). Ebbi a definire, nello scritto citato, geniale questo Pontefice (analogamente a Papa Wojtyla). Lo riconfermo oggi. Egli, infatti, con tutti i suoi concreti atti, “rivoluzionò” letteralmente l’approccio tra Ebrei e Cristiani.

Salì al soglio pontificio il 28.10.1958, succedendo a Pio XII (Eugenio Pacelli, nato a Roma il 2.03.1876 e morto il 9.10.1958).

La straordinarietà di questo Vicario di Cristo fu evidenziata lungo tutto l’arco della sua vita, da semplice prete fino ad arrivare a Pontefice. Solo per analizzare la storia più recente, appare significativo ricordare la benedizione che Giovanni XXIII impartì agli ebrei che erano appena usciti dalla Sinagoga.

Una benedizione ai Giudei? Nessun Papa aveva mai osato tanto!

E ancora. Durante la liturgia solenne del Venerdì Santo precedente la Pasqua del 1959, Papa Roncalli, senza alcun preavviso, diede ordine di cancellare dalla tristemente (per gli ebrei) nota preghiera Pro perfidis Judaeis, che veniva recitata proprio in quel giorno, il penoso aggettivo che qualificava come “perfidi” gli Ebrei. Questo gesto commosse profondamente tutta l’opinione pubblica israelitica, suscitando, nel contempo, molte speranze.

Ma, ritornando al Concilio, fu proprio questa abolizione dalla preghiera pasquale, che indusse Jules Isaac, insigne studioso ebreo, [4] [5] a chieder un’udienza a Giovanni XXIII. Gli venne accordata il 13.06.1960. In questa occasione il Prof. Isaac consegnò al Pontefice un documento, il cui contenuto si può sintetizzare nel modo seguente.

Nei rapporti con gli Ebrei viene tuttora promosso dalla Chiesa un disgustoso “insegnamento del disprezzo” che, nella sua essenza, è anticristiano.

E’ certo, per testimonianza diretta di Mons. Loris Francesco Capovilla , segretario personale del Papa, che quello fu il giorno in cui il Pontefice decise che il Concilio Ecumenico Vaticano II, dovesse occuparsi anche della questione ebraica e dell’antisemitismo (punto 4 della futura Dichiarazione Nostra Aetate).

Questo fu certamente, per l’ebraismo,  il capolavoro in assoluto di Giovanni XXIII, in ordine al riavvicinamento tra le due fedi monoteistiche.

Ecco, sinteticamente, la cronistoria (alquanto travagliata) ed i passi che hanno accompagnato il cammino del Concilio Ecumenico Vaticano II, pietra basilare anche per il Cattolicesimo.

Il Concilio Ecumenico Vaticano Primo fu il ventesimo concilio ecumenico, ovvero una riunione di tutti i vescovi del mondo per discutere di argomenti riguardanti la vita della Chiesa cattolica. Fu convocato da Papa Pio IX con la bolla Aeterni Patris del 29 giugno 1868.

Il secondo di questi Sinodi, quello in argomento, fu indetto nella Basilica di San Paolo da Giovanni XXIII il 25.01.1959, a soli tre mesi dalla sua elezione.

Il 16 maggio dello stesso anno venne insediata una apposita Commissione antipreparatoria.

Il 25.12.61 il Pontefice licenziò il documento con cui convocava ufficialmente il Concilio.

Il 2.02.1962 Papa Roncalli promulgò infine il motu proprio “Consilium”, con il quale stabiliva il giorno di apertura dello stesso.

In base a questa decisione, il Concilio fu infatti aperto ufficialmente l’11.10.1962 con cerimonia solenne all’interno della Basilica di San Pietro in Vaticano.

Dopo la morte, avvenuta nel 1963, di questo impareggiabile Pontefice, la ritrosia di alcuni Vescovi conservatori nel continuare le discussioni spinse gli stessi a ritenere opportuna la sospensione dei lavori attinenti al Concilio.

L’elezione al Soglio pontificio di Papa Paolo VI (Giovanni Battista Montini, nato a Roma il 26.09.1897, morto il 6.08.1978) avvenne il 21 giugno 1963. Nel suo primo radiomessaggio (22.06.1963), egli parlò della continuazione del Concilio come dell’”opera principale” e della “parte preminente” del suo pontificato, facendo così propria la volontà del suo predecessore.

Considerando tutti i precedenti,  nonché le numerose (e potenti) resistenze all’interno stesso dei Padri conciliari, viene proprio da pensare che certe scelte siano supportate direttamente dal “Signore”.

Il Concilio venne ufficialmente chiuso il 7.12.1965 nella Basilica Vaticana. Fu “licenziato” con 1763 voti a favore e 250 contrari. Un numero niente affatto trascurabile, per la verità!. Significa che oltre il 12% dei Padri conciliari “osteggiarono” la sostanza del Concilio.

A tal punto però, mi sembra poco corretto trascurare il ruolo che, dall’inizio fino alla definitiva stesura dei Documenti, ebbe all’interno dei Padri Conciliari il Cardinale Agostino Bea (nato il 28.05.1881, morto il 16.11.1968). Gli Ebrei devono molto a questo porporato, tenace quanto non mai.

In data 18.09.1960, Papa Roncalli affidò proprio a lui l’incarico per le relazioni con l’Ebraismo. Il Card. Bea fu il vero tenacissimo protagonista, non solo del documento sull’unità dei cristiani, ma anche e soprattutto della stesura della Dichiarazione 4 Nostra Aetate.

Non ho alcuna intenzione di ripetermi su ciò che scrissi in proposito in [1], anche per evitare di annoiare inutilmente chi legge. Voglio solo sottolineare l’immane fatica ed i numerosissimi intoppi che l’instancabile Card. Bea dovette superare. E dargliene atto, giustamente.

Spesso e volentieri, per appianargli la strada, dovette addirittura intervenire personalmente Papa Giovanni XXIII.

A puro titolo esemplificativo, riporto unicamente un mio passo.

Le vere resistenze derivavano, oltre che da una forte opposizione da parte degli stati Arabi (con conseguente timore dei cristiani per ritorsioni nei loro confronti), anche da una “minoranza”, peraltro ben agguerrita e rappresentativa, che si trovava sia dentro sia al di fuori del Concilio. Essa si dava alacremente da fare divulgando scritti critici e tendenziosi, tanto sulla persona stessa del Card. Bea, quanto sullo “schema” da lui distribuito ai membri del Concilio e predisposto per la redazione definitiva.

 

Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate”

Significa “Nel nostro tempo”, e fa parte della Dichiarazione “Sulle relazioni con le religioni non cristiane”, n.4 Ebraismo. 

Analizziamo, molto sinteticamente, il contenuto del testo di questo importante Documento, rimandando ad [1] gli eventuali approfondimenti.

Viene innanzitutto affermato il vincolo spirituale che lega intrinsecamente la Chiesa cattolica agli Israeliti. Dopo aver riconosciuto il grande patrimonio spirituale comune ai cristiani e agli ebrei, essa ricorda anche che dal Popolo ebraico sono nati gli Apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, così come quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo di Cristo. Si passa, quindi, ad affermare quanto segue:

(omissis) gli Ebrei non devono essere presentati  come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo.

Dalla lettura del testo originale [6], si può tuttavia rilevare come sia stata abolita del tutto la frase che, nella prima elaborazione, scagionava esplicitamente gli Ebrei dalla accusa specifica di “deicidio”. Vale a dire che la condanna esplicita dell’antisemitismo è stata sostituita da una più semplice e blanda deplorazione dello stesso. Evidente la differenza!

Una volta di più si comprende quali “scogli” (un eufemismo) abbia dovuto superare il Card. Bea per mantenere ciò che lo stesso Papa Giovanni XXIII gradiva conseguire.

Solo confrontando il testo finale della Dichiarazione Conciliare (comunque alquanto  distante dal progetto originale) con le cento e più Bolle papali emanate contro gli Ebrei, con le decisioni prese dai vari Concili succedutisi tra il VI e il XIX secolo, nonché con le “disposizioni” vessatorie messe in atto da numerosi Pontefici, è possibile valutare positivamente questo documento nella prospettiva della storia cristiana.

A mio avviso si può concludere questo capitolo avendo la netta percezione che il Concilio Vaticano II abbia, in ogni caso, segnato una storica, epocale svolta nei rapporti tra cristiani ed ebrei.

Una “partenza” di un cammino difficile, che potrà presentarsi talvolta tormentato ma, personalmente ne sono convinto, comunque irreversibile.

 

I PONTIFICATI POST- CONCILIO

In questo capitolo desidero parlare solo di quegli interventi dei Pontefici che, dopo il Concilio, hanno avuto riflessi significativi sui rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo.

Uno degli “scogli” che si sono incontrati nell’era post-conciliare, è indubbiamente da attribuirsi al “non- riconoscimento” dei contenuti del Concilio Vaticano II in relazione al rapporto con gli Ebrei. Da parte di chi? Della Fraternità fondata da Marcel Lefebvre nel lontano 1970.

Allo scopo di mantenere viva la tradizione liturgica di San Pio V e più in generale la tradizione della Chiesa, Marcel Lefebvre fonda questa Comunità ad Econe, in Svizzera, il 7 ottobre 1970. Questa decisione di Lefebvre faceva seguito alla sua  ribellione alla frettolosa attuazione delle riforme conciliari. Mons. Lefebvre, infatti, annunciò ai suoi seminaristi il rifiuto di accettare quanto deliberato dal Concilio Ecumenico Vaticano II. In seguito egli ne annunciò il rigetto totale, definendo questo importante Documento della chiesa cattolica “Il colpo da maestro di Satana”.

Una precisazione mi pare opportuna, per comprendere meglio la “ideologia” su cui poggia   questa Confraternità. Essa si rifà completamente alla tradizione liturgica di San Pio V. Questi è il papa ideatore fra l’altro, il 12 luglio 1555 attraverso l’enciclica “Cum nimis absurdum” (cioè, quando il troppo [leggasi Ebrei] è inopportuno) del “Ghetto ebraico in  Roma” che, come si vede, non è stata un’innovazione nazista. Nella stessa Enciclica, non bastando questo, vennero  imposte altre severe misure nei confronti della comunità ebraica.

Di quanti santi, come questi, è “affollata” la Chiesa cattolica?

Quello dei Lefebvriani è quindi, come si può ben intuire, un argomento complesso, di portata mondiale, spinoso che, in modo diretto, ha coinvolto (e, ad oggi, febbraio 2010, la “faccenda è tutt’altro che conclusa) ben tre pontefici: Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI.

 

 

Papa Paolo VI

Paolo VI  va innanzitutto ricordato come il Pontefice che “sostenne”, e riuscì a concludere, il Concilio Ecumenico Vaticano II. Il 29.04.1965 venne pubblicata la sua lettera enciclica “Mense Maio”, con la quale invitava a pregare la Madonna per il felice esito del Concilio e per la pace nel mondo. A riguardo del Concilio, ecco cosa scrisse testualmente ”E’ la grande ora di Dio nella vita della Chiesa e nella storia del mondo”. 

Fu il primo Pontefice a viaggiare in aereo, nonché il primo ad effettuare un Pellegrinaggio in Terra Santa nel 1964. Visitò, in tale occasione, anche Israele [allora non erano ancora state allacciate le Relazioni diplomatiche tra i due Stati], incontrando, il 5.01.1964 il Presidente di questa Nazione, Salman Shazar.  

Il 15 gennaio 1973 il primo ministro israeliano Golda Meir venne ricevuto in Vaticano. L’udienza fu considerata un evento ”storico” e fuin effetti la prima volta che un capo di governo israeliano veniva ricevuto da un Pontefice. L’assenza di relazioni diplomatiche ufficiali contribuì a rendere elevato l’interesse per l’avvenimento, ma occorre ricordare che nel 1964 con la precedente visita di Paolo VI, la S. Sede aveva già operato una sorta di riconoscimento de facto dello Stato di Israele. L’incontro, richiesto dalla stessa Golda Meir, fu accettato di buon grado dalla Santa Sede, desiderosa di trovare un accordo con le autorità israeliane per regolare la questione dei Luoghi Santi e la situazione della comunità cattolica palestinese.

Nel luglio 1976 Marcel Lefebvre venne sospeso a divinis da Papa Paolo VI  (ovvero gli fu imposto il divieto di celebrare i sacramenti usando i nuovi riti), poiché, a seguito di un incontro con questo Pontefice nel settembre dello stesso anno, aveva rifiutato di sottomettervisi per motivi di coscienza.

Questi sono i principali eventi che hanno sottolineato il contributo tangibile di Papa Montini in ordine al riavvicinamento dell’ebraismo al cristianesimo, in generale, ed al cattolicesimo nello specifico.

Per volere di Papa Giovanni Paolo II, l’11 maggio 1993, il cardinale Camillo Ruini, Vicario per la Città di Roma, ha aperto il processo diocesano per la causa di Beatificazione di Papa Paolo VI.

 

Papa Giovanni Paolo I 

Alla morte di quest’ultimo Pontefice (6.08.1978), gli succedette, il 26.08.1978, Albino Luciani (nato a Canale d’Agordo [BL] il 17.10.1912 e morto il 28.09.1978), il quale prese il nome di Papa Giovanni Paolo I (in onore dei suoi due predecessori). Il suo pontificato fu brevissimo (di soli 33 giorni). Purtuttavia, anche Papa Luciani ebbe il tempo di dare il proprio personale contributo positivo lungo il cammino di riconciliazione con l’ebraismo.

Sembra addirittura [7] che egli fosse deciso a spingersi ancora oltre a quanto proposto dallo stesso Concilio Vaticano II. Avrebbe, infatti, detto ad un sacerdote suo amico.

 

“Ci sono voluti i campi di sterminio per ridestare la coscienza dell’umanità e dei cristiani verso gli ebrei. L’Olocausto è anche un fatto religioso. Gli ebrei sono stati uccisi anche per la loro religione. Il pensiero e l’atteggiamento della Chiesa sono profondamente cambiati nei confronti degli Ebrei. Noi dobbiamo illuminare i cristiani e spronare preti e vescovi a parlare chiaramente e apertamente. Noi cristiani abbiamo ancora molto da imparare dai fatti e dalla storia del popolo ebraico. Dobbiamo togliere al venerdì Santo il significato di memoria contro gli ebrei, che durò per quasi duemila anni (e lo rileva un Pontefice!). Papa Giovanni XXIII lo ha già fatto, ma occorre fare di più. Non dimentichiamo che queste due parole “Venerdì Santo” suonano ancora oggi nella mente dei vecchi ebrei, sparsi nel mondo, come un triste ricordo, a volte tragico, per i fatti che accadevano contro le loro comunità”.

Parole pesanti come macigni, ma  colme di ottimismo e di speranza. E quale grandezza d’animo, quale insegnamento importante per molti cristiani.

 

Papa Giovanni Paolo II 

A Papa Luciani succedette Karol Jozef Wojtyla (nato in Polonia il 18.05.1920, morto il 2.04.2005) che venne eletto Pontefice il 16 ottobre 1978, assumendo il nome Giovanni Paolo II. E’ stato il primo papa non italiano negli ultimi 455 anni.

Si dimostrò subito un Pontefice iperattivo, sia per le idee sia per la capacità di  concretizzarle  rapidamente.

Come giovane Vescovo egli aveva avuto modo di partecipare al Concilio Vaticano II dal primo all’ultimo giorno. Dal suo testamento olografo si è venuti a conoscere che Papa Giovanni Paolo II ha inteso affidare questo patrimonio (le risultanze del Concilio Vaticano II) a tutti coloro che sono, e lo saranno in futuro, chiamati a realizzarlo. Il Pontefice continua (sempre nel Testamento) dicendo di essere convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo è in grado di elargire. 

Papa Wojtyla difese gli Ebrei in ogni occasione, sia quando era un semplice prete in Polonia sia durante tutti i 26 anni di pontificato.

L’apertura verso l’Ebraismo fu tanto dirompente, quanto inaspettata. Troppo numerosi sono gli avvenimenti di cui egli fu l’artefice instancabile del riavvicinamento tra le due fedi monoteistiche [1]. Per tale motivo, in questo lavoro ne sintetizziamo solo quelli più significativi. Ma non per questo, gli altri assumono minor valore.

Giovanni Paolo II si può ben definire il Papa delle molteplici “prime volte”.

Nel giugno del 1983 Giovanni Paolo II effettuò l’eloquente visita ad Auschwitz, il famigerato campo di sterminio nazista che dista solo 30 chilometri da Wadowice, villaggio natale del Pontefice. Qui invocò il primo “mea culpa” a nome della Chiesa, facendola salire sul banco degli imputati, essendo essa chiamata a rispondere del silenzio sull’Olocausto, la Shoà (catastrofe).

A ciò fece seguito la sua storica visita al Tempio Maggiore di Roma, avvenuta Il 13 aprile 1986. Essa fu la “prima” di un papa dai tempi di Pietro: un viaggio lungo meno di quattro chilometri, ma distante quasi venti secoli. Fu accolto dal Capo Rabbino di Roma, il Prof. Elio Toaff. E’ rimasta famosa la frase pronunciata dal Pontefice rivolgendosi agli Ebrei presenti, meravigliati, ma pieni di gioia per l’evento eccezionale: “Siete i nostri fratelli prediletti e, in certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”. Una frase che divenne storica.

Questa visita suggellò anche una “fraterna”, sincera e duratura amicizia tra il Pontefice e il Capo Rabbino di Roma che, come si vedrà più avanti, sarà consegnata ai posteri direttamente tramite il “testamento” di Papa Wojtyla (scritto da lui stesso a più riprese, come si verrà a sapere alla sua morte).

Il 5 maggio 1988 Lefebvre ed il cardinale Ratzinger firmano un protocollo d’intesa per l’utilizzo dei libri liturgici approvati nel 1962.  In tale documento, Lefebvre, a nome suo e della Fraternita, promette obbedienza alla Chiesa ed al Papa, e dichiara di non voler più discutere il Vaticano II in termini polemici. Riconosce la validità dei nuovi riti della Messa.

Nonostante un’ammonizione formale, il 30 giugno 1988 Lefebvre ordinava quattro vescovi  e compiva così un atto scismatico,avendo egli apertamente rifiutato la sottomissione al Pontefice.

La sua scomunica fu formalizzata il2 luglio 1988 da Giovanni Paolo II, con il motu proprio Ecclesia Dei afflicta.

La formalizzazione della somunica riguardò solo i due vescovi consacranti ed i quattro vescovi appena consacrati (tra i quali Richard Williamson. Lo ritroveremo…).

Il 28 dicembre 1993 furono ufficialmente allacciate le relazioni diplomatiche tra il Vaticano (la Santa Sede) ed Israele, uno Stato di estrema importanza, nonché emblematico, per tutti gli Ebrei del mondo. La Nazione ebraica nacque, infatti, soprattutto a seguito del senso di colpa (malauguratamente tardivo) che i paesi europei, e non solo, provarono dopo la Seconda Guerra mondiale per aver permesso (direttamente o per vile silenzio) la Shoà.

L’iniziativa forse più singolare fu l’apertura del Grande Giubileo del 2000 ed il pronunciamento, da parte di Papa Giovanni Paolo II, dei “Mea Culpa” (intesi come purificazione della memoria) per i peccati commessi in passato dalla Chiesa Cattolica, non solo nei confronti degli ebrei. Si esplicò in un grande bagno di pentimento per tutti i mali compiuti in nome del cattolicesimo (inteso non certamente come “Religione”, bensì riferito a quelle persone che, molto indegnamente, ebbero a rappresentarlo fin dal suo avvento).

Furono circa una ventina i temi toccati. Tra questi, l’Inquisizione, le guerre di religione, le Crociate, la riabilitazione di Galileo, il razzismo nonchè, per quanto riguarda più da vicino il tema in argomento, le colpe nei confronti del Popolo d’Israele.

Fu questa un’iniziativa strettamente “personale” di Giovanni Paolo II, portata a termine nonostante i “molti pareri contrari” espressi da alcuni collaboratori, Cardinali, e teologi.

Appartengono infatti all’ufficialità gli aspri appunti rivolti a Papa Wojtyla dal Cardinale di Bologna, Giacomo Biffi, che si fece carico di illustrarglieli di persona, in un colloquio che ebbe con il Pontefice.

Trascorsero solo due domeniche dalla esternazione dei mea culpa, e quel gesto venne ripetuto in occasione del suo viaggio in Terra Santa [Israele]  (maggio 2000), nel luogo più sacro per il  popolo ebraico: il Muro Occidentale del Tempio di Gerusalemme. Il Papa pregò davanti allo stesso. Lesse il mea culpa, riportato su una lettera con inciso lo stemma pontificio in oro a sottolineare la rilevanza dell’atto. Poi, come i fedeli israeliti sono usi a fare, lasciò la lettera in una fenditura del Muro del Pianto (così è chiamato dagli Ebrei, a ricordo della distruzione del Tempio nel 70 d.C. da parte di Tito).

In questa occasione, il Pontefice si recò pure a visitare lo “Yad Vashem” (il monumento all’Olocausto). Fu un gesto che scosse e toccò profondamente i cuori di tutti gli Ebrei del mondo.

In occasione del centenario della Sinagoga di Roma (22.05.2004), il Pontefice inviò una lettera di auguri al nuovo Rabbino Capo Riccardo Di Segni (contenente anche un saluto particolare al Rabbino emerito Toaff). Nella stessa, il Papa ripercorreva il cammino fin allora fatto per il riavvicinamento tra le due religioni, e sottolineava (queste, testualmente, le parole del Papa) il fatto che

la Chiesa non ha esitato a deplorare le mancanze dei suoi figli e delle sue figlie in ogni epoca, ed in un atto di pentimento (teshuvà: in ebraico) essa ha chiesto perdono per le loro responsabilità in qualsiasi modo collegate con le piaghe dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo..”

  

Il 18.01.05, in occasione del quarantesimo anniversario della Dichiarazione Conciliare “Nostra Aetate”, ebbe luogo l’udienza privata concessa da Paolo Giovanni II a 160 Rabbini provenienti da tutto il mondo, e rappresentanti tutte le branche dell’Ebraismo moderno. Durante l’incontro, i Rabbini hanno recitato una preghiera speciale in onore del Pontefice, per sottolineare il fatto che egli aveva improntato tutto il suo pontificato alla lotta contro l’antisemitismo, che Papa Wojtyla considerava come contrapposto al vero spirito della cristianità. 

Come non ricordare anche gli “Incontri interreligiosi” volutamente promossi da Papa Giovanni Paolo II. La prima, senza precedenti in assoluto, avvenne ad Assisi il 27.10.1986. L’ultima fu tenuta, sempre ad Assisi, il 24.10.2002.

Non è possibile terminare questa pur breve sintesi delle opere portate a compimento da Papa Wojtyla, senza accennare al contenuto del suo “Testamento” che può ben essere ricordato come l’ultimo “regalo” fatto da questo Papa agli Ebrei, suoi fratelli maggiori.

Il fatto veramente singolare è che Giovanni Paolo II nel testamento richiama esplicitamente due sole persone: Don Stanislao, e il Rabbino emerito di Roma Elio Toaff.

Se ne riportano le testuali parole.

“(omissis)….don Stanislao (Dziwisz, segretario del Papa fin dal lontano 1963. Era per il Pontefice come un figlio adottivo- N.d.r.) che ringrazio per la collaborazione e l’aiuto così prolungato negli anni e così comprensivo…” (omissis)…..Come non ricordare anche tanti Fratelli cristiani-non cattolici! E il rabbino di Roma….”.

Karol Wojtyla ebbe modo di definire il Rabbino emerito di Roma Toaff un “uomo straordinario”.

Durante un’intervista fatta subito dopo la morte di Papa Giovanni Paolo II, fu chiesto al Prof. Toaff quale fosse stato il suo primo pensiero, quando venne a sapere del contenuto del testamento. Questa la sua risposta: “Dopo la gratitudine, la curiosità di immaginare come la Curia valuti quest’atto eccezionale. A me ha fatto un’impressione immensa!”.

Nel Testamento, Papa Giovanni Paolo II dichiara anche di considerare il testo contenuto nel Concilio Vaticano II un “pilastro” per i futuri nuovi rapporti tra la religione cattolica e quella ebraica.   

Tanti ostacoli millenari, con l’azione di Giovanni Paolo II furono letteralmente spazzati via in breve tempo. Elio Toaff ha esplicitamente detto che gli Ebrei tutti devono a questo Papa (una Persona così vive per sempre) una gratitudine eterna, e che ci si può sdebitare, per quanto egli ci ha regalato, solo con il ricordo e con la memoria, che è comunque e sempre qualcosa di estremamente importante.

Un solo neo (per me veramente inspiegabile) nell’eccezionale Pontificato Wojtyla: la beatificazione di Alojzije Stepinac, nel 1998 durante il suo viaggio in Croazia, divenuta indipendente nel 1991.

Mi sembra opportuno spendere due parole su questa fosca e, nello stesso tempo, controversa figura.

A capo della Croazia (1941-1945) fu messo, da Hitler e Mussolini, il poglavnik (duce) Ante Pavelic, fanatico cattolico, anticomunista, antiortodosso e antisemita. Il suo riferimento ideologico era l’arcivescovo Alojzije Stepinac, il più giovane vescovo d’Europa (lo divenne a 36 anni). Stepinac era la mente e Pavelic il braccio.

La Croazia era allora retta dal  regime dittatoriale degli Ustascia [Croato=insorto. Organizzazione fascista e nazionalista croata, in combutta con il nazismo, fondata da Ante Pavelic nel 1929].

Le imprese descritte in [8], commesse dagli ustascia croati ai danni dei serbo-ortodossi di Croazia e Bosnia, fanno impallidire quelle, pur inconcepibili, perpetrate dalle SS tedesche contro gli ebrei, ed è tutto dire. Anticiparono le nefandezze (un eufemismo) passate alla storia come i “massacri delle Foibe”. Con tale dizione si intendono gli eccidi perpetrati, dall’Armata popolare di liberazione, ai danni di migliaia di cittadini italiani per motivi etnici e politici durante ed anche alla fine della seconda guerra mondiale. Alojzije Stepinac ebbe un ruolo di primo piano nella creazione e nel consolidamento della dittatura ustascia tanto da essere da loro decorato al merito con la massima onorificenza 

Stepinac fu un antisemita al cubo [8], che arrivò a dichiarare: «ho fatto notare in Vaticano [!] che le leggi ustascia varate contro il crimine dell’aborto giustificano le leggi contro gli ebrei, i quali sono in Croazia i più grandi difensori, i più frequenti esecutori di questo crimine». Un’altra delle tante falsità [9] per calunniare l’ebraismo.

Infatti, la Bibbia condanna l’omicidio come peccato e quindi la morte del feto, che viene già considerato essere umano, secondo la propria crescita ed evoluzione, dopo i 40 giorni dal concepimento, e l’aborto  sono considerati peccato.     [Addirittura]   Dio stabilisce che se due uomini vengono alle mani e nella lotta colpiscono una donna incinta causandone l’aborto o la nascita prematura del bambino, essi devono essere multati secondo il danno causato al bambino [3].

Dunque, Stepinac beatificato da Papa Wojtyla. I misteri della vita!

 

 

Papa Benedetto XVI

Alla morte di Papa Wojtyla (2.04.2005), il Cardinal Ratzinger ne officiò l’omelia funebre.

Egli fu quindi eletto Papa durante il secondo giorno del Conclave, subito indetto. Al quarto scrutinio, nel pomeriggio del 19 aprile. Scelse il nome di Papa Benedetto XVI.

Questa, in estrema sintesi, la sua sfolgorante carriera nella gerarchia ecclesiastica cattolica. 

Un’esperienza fondamentale fu la sua  partecipazione, fin dal 1962, al Concilio Vaticano II, dove acquisì notorietà internazionale.

Il 24 marzo 1977 venne nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga da papa Paolo VI, che il successivo 27 giugno elevò Ratzinger a Cardinale. Montini ebbe a definirlo un «insigne maestro di teologia».

Nel 1978 prese parte ai conclavi che elessero i Pontefici Papa Giovanni Paolo, sia I sia II.

Il 25 novembre 1981 papa Wojtyla lo nominò Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l’organo della Santa Sede che si occupa di vigilare sulla correttezza della dottrina cattolica, carica che manterrà fino all’elevazione al Soglio pontificio.

L’asteroide 8661 Ratzinger è stato a lui dedicato, in ricordo del suo impegno da cardinale in favore degli archivi vaticani.

Inizia, quindi, nel 2005 il Papato di Benedetto XVI.

Egli, fin dal suo insediamento a Pontefice, si è più volte espresso nel voler continuare sulla via aperta dal Concilio Vaticano II. I Documenti dello stesso sono stati richiamati in numerose occasioni da Papa Ratzinger nei suoi discorsi e scritti. A quarant’anni dalla sua conclusione, egli pregò affinché il Concilio potesse continuare a guidare la Chiesa «per contribuire ad instaurare nel mondo quella fraternità universale che risponde alla volontà di Dio sull’uomo». L’attualità di quei documenti, secondo il Pontefice, è oggi addirittura aumentata, pur ribadendo, nel contempo, che il Vaticano II non va interpretato come un procedimento di rottura rispetto alla tradizione della Chiesa.

Altri segnali sono da aggiungere per rimarcare la buona fede di Papa Ratzinger nel voler proseguire lungo la via della riconciliazione tra cattolicesimo ed ebraismo.

Un esempio scaturisce pure da ciò che avvenne durante alcuni dei suoi viaggi apostolici.

Ne segnaliamo solo i più significativi per quanto in argomento.

Durante il suo Viaggio in Germania (18-21.08.2005),  è avvenuta la storica visita alla Sinagoga di Colonia. “Shalom alechem (La pace sia su di voi)” furono le sue prime parole. In tale occasione Papa Ratzinger ha parlato del forte legame che unisce ebrei e cattolici, condannando ogni forma di antisemitismo. È stato il terzo Pontefice nella storia, dopo l’Apostolo Pietro e Papa Wojtyla a visitare una sinagoga.

Il 28 maggio 2006 Papa Benedetto XVI ha effettuato la visita storica al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, dove ha pregato per onorare la memoria degli ebrei, dei polacchi, dei russi, dei rom, e dei rappresentanti di venticinque nazioni uccisi dall’odio nazista. Il Papa è entrato a piedi e da solo nel campo di concentramento di Auschwitz passando sotto l’inquietante scritta Arbeit macht frei (“Il lavoro rende liberi”), sotto la quale sono passati milioni di ebrei destinati allo sterminio. Dopo aver pregato davanti al “muro della morte”, dove vennero fucilati 20.000 detenuti, ha salutato un gruppo di ex deportati di Auschwitz

Si è poi trasferito al vicino campo di Birkenau dove si trova il Monumento internazionale alle vittime dell’Olocausto, composto da 22 lapidi che in varie lingue ricordano tutti i morti nei campi di Auschwitz-Birkenau. Qui si è anche tenuto un incontro di preghiera interconfessionale con un gruppo di ex prigionieri, nel corso del quale è stato cantato il Kaddish, un cantico funebre ebraico.

Il punto principale del discorso, è stato l’interpretazione del tentativo di annientamento degli ebrei come un progetto per uccidere Dio, della cui esistenza il popolo ebraico sarebbe testimonianza: cancellando Israele gli autori dello sterminio «volevano strappare anche la radice su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell’uomo, del forte».

Mentre veniva cantato il Kaddish, a memoria dei morti della Shoah, è spuntato sopra il campo di Birkenau uno spettacolare arcobaleno, simbolo della pace. Il Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, dopo aver definito la visita del Pontefice «un momento storico, con un discorso grande all’inizio e alla fine problematico nel suo contenuto» ha aggiunto: «Si deve riflettere su un segno spettacolare: quell’arcobaleno che spunta nel cielo mentre il Papa compie la sua visita. L’arcobaleno è il segno biblico dell’impegno divino a non distruggere l’umanità: Dio non distrugge l’uomo, ma lascia agli uomini il libero arbitrio di farlo». Queste ultime parole rafforzano ciò che io, più volte, ho avuto modo di esternare in relazione a ciò che viene definita l’”eclissi di Dio”, riferendosi all’orrore che la storia ci ha consegnato attraverso il Nazismo.

Sono solo gli uomini che, facendo uso del libero arbitrio, scelgono (ed attuano scientemente) il Male, piuttosto che il bene. Con lo spargimento di sangue innocente (sopruso di uomo su uomo) che ne consegue.

Per il suo quarto viaggio apostolico il Papa si è recato nella sua terra natale, la Baviera (9-14.09.2006). Il 9 settembre 2006 Papa Ratzinger è giunto a Monaco di Baviera eprimendo la sua gioia per la possibilità di rivedere almeno una volta la sua patria e i luoghi in cui è vissuto da giovane. Il Papa ha visitato la città di Frisinga dove fu ordinato sacerdote e Marktl am Inn (suo paese natale), con varie celebrazioni e momenti di preghiera. Il 13 settembre, il Papa ha fatto tappa all’Università di Ratisbona tenendo una vera e propria lezione sul rapporto tra fede e ragione in un discorso davanti ai cattedratici (discorso divenuto poi celebre perché inizialmente male interpretato da alcuni leader religiosi musulmani), ha anche ribadito la sua ferma condanna dell’uso della violenza per scopi religiosi,: «La violenza» ha detto Ratzinger, «è in contrasto con la natura di Dio» e «non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio».

Durante il suo Viaggio negli Stati Uniti (15 aprile – 21 aprile 2008),  il Papa ha fatto visita alla Park East Synagogue di New York, città con significativa presenza ebraica (oltre 1 milione e mezzo di ebrei), dove si è intrattenuto con il Rabbino capo e numerosi fedeli.

Infine (scrivo a febbraio 2010) la più recente vista del Papa In Terra Santa (8-15.05. 2009).

L’11 maggio il Papa ha lasciato la Giordania ed è giunto a Tel Aviv per iniziare la sua visita in Israele. Nel suo primo discorso ufficiale in questo Stato, davanti al Presidente israeliano Shimon Peres e al premier Benjamin Netanyau, giunti ad accoglierlo all’aeroporto, ha subito posto l’accento sul tema della pace tra israeliani e palestinesi, auspicando che si possa «esplorare ogni via possibile per raggiungere una soluzione giusta al conflitto, cosicche’ entrambi i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri e riconosciuti internazionalmente».

Ha poi reso omaggio al memoriale dell’Olocausto, Yad Vashem ed ha condannato il negazionismo, lanciando un forte appello affinchè «il nome delle vittime possa non morire mai e che le loro sofferenze non vengano mai dimenticate, sminuite o negate». Gran parte della stampa israeliana non ha mancato tuttavia di sottolineare la delusione per alcune cose non dette dal Papa, come ad esempio la citazione esplicita del nazismo.

Il 12 maggio si è recato al Muro del Pianto, dove (come già aveva fatto Giovanni Paolo II) ha deposto una preghiera ed ha pregato assieme ai Rabbini, elevando al Dio comune una accorata invocazione per la pace («Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe, ascolta il grido degli afflitti, dei timorosi e dei deprivati; manda la tua pace sulla Terrasanta [perché non citare mai Israele?], su tutto il Medio oriente e sull’intera famiglia umana: smuovi i cuori di tutti coloro che invocano il tuo nome perché camminino umilmente sulla via della giustizia e della compassione»). Al centro Hechal Shlomo ha poi incontrato le massime autorità religiose ebraiche, i Gran Rabbini di Israele, Shlomo Amar e Yona Metzger.

Queste continue e significative sottolineature, espresse durante gli incontri di Papa Benedetto XVI con le comunità ebraiche ed i loro Rappresentanti ufficiali, dimostrano, se ancora ve  ne fosse bisogno, la genuina volontà di questo Pontefice ad avvicinare ebrei e cattolici.

Se, dunque, non possono sussistere fondati dubbi a tal riguardo, bisogna tuttavia rilevare anche che, durante questi primi anni del Pontificato Ratzinger, si è potuto assistere ad esternazioni ed atti che, a dir poco, lasciano quantomeno perplessi.

Li intendo segnalare, solo al fine di fare alcune riflessioni in merito, conscio (è questa una sensazione prettamente personale, di cui mi assumo la piena responsabilità) che esse possono essere valutate come degli (pure inesplicabili) intoppi. Che, per ciò solo, è lecito sperare di riuscire a superarli (se lo si desidera veramente ) per ripianare una via ormai tracciata, dalla quale non si torna più indietro.

Ecco gli “intoppi”, analizzati punto per punto.

 

Punto primo – La “preghiera per gli ebrei”

Il 7 luglio 2007, con il “motu proprio” Summorum Pontificum, Papa Benedetto XVI reintroduce la possibilità di utilizzare (per la preghiera per gli ebrei) la formula liturgica pre-conciliare, in lingua latina, per la celebrazione eucaristica. A seguito di tale provvedimento, il 6 febbraio 2008 – nella ricorrenza del mercoledì delle ceneri – il Pontefice modifica la preghiera per gli ebrei del Venerdì Santo contenuta nel Missale Romanum, anteriore al Concilio Vaticano II, sostituendo il riferimento al «popolo accecato [che deve essere] strappato dalle tenebre» con l’espressione «Preghiamo per gli Ebrei. Il Signore Dio Nostro illumini i loro cuori perché riconoscano Gesù Cristo Salvatore di tutti gli uomini». Il testo da usare è quello del 1962, che si intitola “Pro conversione Judaeorum” (per la conversione degli ebrei). La disposizione del Papa è contenuta in una nota della Segreteria di Stato della Santa Sede.

Per comprendere meglio i termini del problema e le sue implicazioni nei rapporti ebraico-cristiani, è necessario ricostruire la storia della vicenda, almeno a far data dall’ottavo secolo in poi [10].

A quei tempi si recitava la preghiera Pro perfidis judaeis, avente la seguente formulazione:  

Preghiamo anche per i perfidi Giudei: affinché Dio e Nostro Signore tolga il velo dai loro cuori, affinché riconoscano Gesù Cristo nostro Signore.”  (omissis..)

 “Onnipotente eterno Dio, che dalla tua misericordia non respingi neppure la perfidia giudaica, esaudisci le nostre preghiere che ti rivolgiamo per l’accecamento di quel popolo, affinché, riconosciuta la luce della tua verità, che è Cristo, escano dalle loro tenebre” [i grassetti sono miei].

Varie versioni si sono succedute nell’arco di tempo che va dal 1959 al 1962. Sotto il pontificato di Giovanni XXIII venne eliminato il doppio riferimento alla perfidia ebraica, il resto rimase invariato. Si aggiunse anche un nuovo titolo: “Pro conversione Judaeorum”.

Nel 1965, con Paolo VI, appena finito il Concilio Vaticano II, comparve una nuova versione. Cambiò ancora il titolo, che diventò “Pro Judaeis”. Eccone il testo:

Preghiamo per i Giudei, affinché il Dio e Nostro Signore illumini il loro cuore, affinché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti di gli uomini.”  (omissis)

 “Onnipotente eterno Dio, che vuoi che tutti gli uomini siano salvi e giungano al riconoscimento della verità, concedi propizio che con l’ingresso della pienezza delle genti nella Tua Chiesa tutto Israele sia salvo.”   

Dopo diverse assicurazioni (indotte direttamente dal motu proprio di Benedetto XVI del  2007), l’Osservatore Romano del 6 febbraio 2008 riconferma quest’ultima versione.

Questa, in breve sintesi, la cronistoria della “preghiera per gli ebrei”.

Dall’esame delle numerose modifiche apportate alla preghiera negli ultimi 50 anni, si evince una crescente disponibilità della Chiesa Cattolica a rivedere il suo atteggiamento nei confronti degli ebrei, anche nelle sue forme liturgiche.

Questo è il lato positivo della questione in essere.

Tuttavia, se questo ripensamento da parte di Papa Ratzinger è stato possibile in un sol colpo, ci si chiede (con riferimento specifico al cosiddetto dialogo tra ebrei e cattolici)  come ogni altra cosa non sia possibile, e quale sia l’affidabilità dell’interlocutore.

Una cosa appare comunque chiara. Un dialogo che abbia per scopo la conversione degli ebrei, non interessa minimamente i medesimi. Essi non hanno alcun dovere di interloquire con chi usa il dialogo per salvarli (da chi, da che cosa?). 

Da rilevare, ancora, che questa in argomento è comunque l’unica occasione in cui la Chiesa prega per gli ebrei. Possibile che in tale circostanza questo sia, da parte della stessa, il solo desiderio esprimibile?

Ebbi modo, anche io, di esprimere la “perplessità” per la decisione di Benedetto XVI. Stralcio, dall’articolo La “preghiera” solo queste riflessioni.

Il ripristino da parte del Vaticano della “preghiera” per gli Ebrei durante il periodo pasquale è un atto oltrechè provocatorio, fuori luogo in pieno svolgimento del “dialogo interreligioso” ma, soprattutto, offensivo per gli Ebrei.

Mi chiedo solo: se gli Ebrei avessero (per fortuna, non ce l’hanno!) una preghiera nella quale si invocasse il Signore chiedendo di ravvedere i Cristiani per lo sbaglio che hanno fatto, che cosa accadrebbe?

Lo lascio immaginare a chiunque non sia in mala fede.

E ancora. Se i Cristiani pregassero per il ravvedimento degli Islamici, come verrebbe accolta una tale preghiera dagli stessi? I Musulmani condannano apertamente, senza mezzi termini, la Trinità. Apriti Cielo, allora! Altro che paventare la Guerra Santa: la metterebbero in atto. Basti riflettere su che cosa hanno comportato solo alcune vignette umoristiche…

 

Punto secondo. Il caso Lefebvriani e Williamson

Ricapitoliamo brevemente. Nel luglio 1976 il Vescovo Marcel Lefebvre venne sospeso a divinis da Papa Paolo VI (ovvero gli fu imposto il divieto di celebrare i sacramenti usando i nuovi riti), poiché, a seguito di un incontro con questo Pontefice nel settembre dello stesso anno, egli aveva rifiutato di sottomettervisi per motivi di coscienza.

Come già segnalato, il 2 luglio 1988 fece seguito la formale scomunica da parte di Papa Giovanni Paolo II.

Il 24 gennaio 2009 Papa Benedetto XVI revocò la scomunica a quattro Vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X, tra cui il britannico Williamson, che aveva più volte  negato sia la Shoà sia l’esistenza delle camere a gas..

L’atto del «perdono» pontificio fu  pubblicato il successivo sabato mattina dalla Sala Stampa Vaticana. E dalla Santa Sede arrivarono immediati i chiarimenti a proposito delle polemiche già scatenate nel mondo ebraico e internazionale dalle dichiarazioni revisioniste e negazioniste sull’olocausto ebraico del vescovo lefebvriano Richard Williamson. Il Vaticano, spiega padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, non condivide in nessun modo le dichiarazioni revisioniste del presule britannico, ma la «revoca della scomunica non c’entra assolutamente nulla» e non significa «sposare le sue idee e le sue dichiarazioni, che vanno giudicate in sé». [e allora, che significa?].

Il 26 febbraio 2009 il vescovo lefebvreiano Richard Williamson così si esprime. “Chiedo perdono davanti a Dio a tutte le anime che si sono giustamente scandalizzate per ciò che ho detto”. Il monsignore avrebbe affermato, in una nota, il suo “rammarico” di avere espresso le dichiarazioni negazioniste in merito alla Shoà, precisando che “ se avessi saputo in anticipo il danno e il dolore che avrebbero arrecato, soprattutto alla Chiesa, ma anche ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime che hanno subito ingiustizie sotto il Terzo Reich, non le avrei rilasciate”. Il presule constata di aver rilasciato alla televisione svedese solo un’”opinione” di un “non-storico”.  

Siamo sicuri che il vescovo Williamson abbia davvero cambiato idea sugli ebrei o ha semplicemente ritrattato solo per fare contenti i suoi superiori? La domanda non è affatto campata in aria.

Vediamo, infatti, come si evolve il “caso”.  

Il 2 luglio 2009, nell’emanare il motu proprio Ecclesiae unitatem, il Papa ritorna sulla questione della remissione delle scomuniche, confermando le motivazioni già esposte, e chiarisce esplicitamente che «le questioni dottrinali [con la Fraternità S. Pio X] rimangono e, finché non saranno chiarite, la Fraternità non ha uno statuto canonico nella Chiesa e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero».

Sei mesi dopo, però, un’ulteriore “giravolta”.

Subito dopo la visita del Papa alla Sinagoga di Roma, avvenuta il 17.01.2010, Williamson (che coincidenza!) torna a negare la Shoà. Lo fa con alcune e-mail inviate alla Fraternità di San Pio X e pubblicate da Der Spiegel il 31.01.2010. Diventa sempre più difficile per l’alto prelato britannico preparare una difesa credibile al processo che lo attende, con l’accusa di “sedizione di massa” il prossimo aprile 2010 a Ratisbona (Germania). Le mails appaiono inequivocabilmente esplicite. Scrive Williamson “La Shoà fu solo una “gigantesca bugia” servita per “creare un nuovo ordine mondiale” [questa calunnia, che ritorna, spesso, è un vero chiodo fisso per gli antisemiti].. (omissis).. “1,3 milioni [da dove trae questa “correzione” sulla verità?] di deportati ai campi di sterminio [n.b.: sì, usa questo termine] di Treblinka (omissis) non finirono nelle camere a gas, ma furono trasferiti dai nazisti nei territori dell’Unione Sovietica occupati dalle truppe di Hitler”.  

La Procura di Ratisbona [in Germania la negazione dell’Olocausto è un reato punibile con multe e con il carcere] aveva accusato Williamson, appunto, di sedizione di massa, dopo un’intervista da lui rilasciata alla TV svedese in cui “negava la Shoà, ecc.”. L’intervista aveva sollevato un enorme scandalo perché diffusa subito dopo che Benedetto XVI , con il suo gesto di “paterna misericordia”, aveva revocato la scomunica, generando una delle fasi più controverse del suo pontificato.

Viene, allora, spontaneo chiedersi quale sia la coerenza del Vaticano in questa incresciosa vicenda, e quali siano le basi su cui la Chiesa Cattolica “desidera” proseguire il dialogo con l’ebraismo.

E poi si usa il termine “fariseismo” quale sinonimo di ipocrisia. Bella coerenza!

Tutto ciò è quantomeno deprimente.

A fronte di tale pessimismo, devo però, per onestà intellettuale, spendere due parole a favore di Papa Ratzinger. Lo faccio ricollegandomi alla lettera ai Vescovi che egli scrisse con riferimento alla remissione della scomunica il 10 marzo 2009. Molto interessante è la sua lettura integrale, cui rimando gli interessati.

Io, invece, per sinteticità ne stralcio solo i passaggi più significativi.

Ne esce comunque una figura, quella del Pontefice, coraggiosa, sincera, sicura di sé: certamente inaspettata.

Per comprendere dovutamente l’amaro sfogo del Papa che emerge dallo scritto, va ricordato che da più parti era stata rinfacciata al Vaticano una “sufficienza” nel seguire il “fatto”: specialmente alla Segreteria di Stato per non essere stata in grado di pilotare la Curia.

Infatti, esplode il caso più clamoroso di disordine in Vaticano, proprio quando viene revocata la scomunica ai vescovi lefebvriani, senza che alla Chiesa e al mondo venga spiegato il perché. Deve, allora, intervenire addirittura il Papa in persona per riparare il disastro di comunicazione e di governo. Egli lo fa proprio con la lettera ai Vescovi di cui sopra.

E’ evidente anche una severa denuncia della confusione che alligna nella gerarchia e nella stessa curia.

La remissione della scomunica, per molteplici ragioni ha suscitato all’interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata. Ecco perché si sente in obbligo di intervenire il Papa in persona che, tra l’altro, scrive (i grassetti sono miei):

Mi sento perciò spinto a rivolgere a voi, cari Confratelli, una parola chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questo passo hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede”.

(omissis)

“Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all’improvviso come una cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa. Un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato in un processo di separazione si trasformò così nel suo contrario: un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio – passi la cui condivisione e promozione fin dall’inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico. Che questo sovrapporsi di due processi contrapposti sia successo e per un momento abbia disturbato la pace tra cristiani ed ebrei come pure la pace all’interno della Chiesa, è cosa che posso soltanto deplorare profondamente. Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie. Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia, che – come nel tempo di Papa Giovanni Paolo II – anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua ad esistere.

Così continua il Papa.

“Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nel fatto che la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione”.

L’imputazione è rivolta, chiaramente, alla Segreteria di Stato. (omissis) 

“Ora però rimane la questione: era tale provvedimento necessario? Costituiva veramente una priorità? Non ci sono forse cose molto più importanti? Certamente ci sono delle cose più importanti e più urgenti”. Non si trae indietro Benedetto XVI, anzi si spiega anche in questo. Ne va tutto ad onor suo. (omissis)

“E non dobbiamo forse ammettere che anche nell’ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo”. Il rammarico di essere stato abbandonato è forte. (omissis)

Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso.

Pochissimi, però, sanno che questo “comandamento” è squisitamente  ebraico. Nel Levitico 19.18  si legge, infatti, testualmente:  Ama il tuo prossimo come te stesso. La sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C., sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte [3].

Quasi in conclusione, Papa Ratzinger termina con queste parole che mi trovano totalmente concorde, e che sottoscrivo pienamente.

A ciò si aggiunge la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce – è questo il dialogo interreligioso”.

L’intero contenuto della lettera mette in risalto sia la buona fede del Pontefice, sia la grandezza di chi, conscio di un errore, ha “il coraggio” di scusarsi. Con tutti.

Da stimare!

Punto terzo – La beatificazione di Pio XII

Con un atto decisivo, il 19.12.2009 Benedetto XVI ha firmato il decreto che riconosce le «virtù eroiche» sia di Pio XII sia di Giovanni Paolo II, dando così avvio alla loro “beatificazione”.

Pacelli (1939-1958), il papa che ha attraversato la Seconda Guerra Mondiale, l’Olocausto, e la prima parte della Guerra Fredda, e Wojtyla (1978-2005), il papa che ha contribuito in modo determinante al crollo dell’impero sovietico, sono adesso «venerabili.

La decisione riguardante Pio XII ha sollevato aspre critiche da parte di numerosi rappresentanti dell’ebraismo, sia italiano sia mondiale. Pur sottolineando, gli stessi, di «non poter in alcun modo interferire su decisioni interne della Chiesa».

La beatificazione di questo Pontefice rappresenta uno dei capitoli più delicati nelle già complesse relazioni post conciliari tra Santa Sede e «fratelli maggiori» ebrei.

Viene spontaneo chiedersi se questo intervento papale fosse opportuno, specialmente  alla vigilia della già programmata visita alla grande Sinagoga di Roma, fissata per il 17 gennaio 2010.

Non intendo minimamente entrare nel merito della questione riguardante i “silenzi” di Pio XII nei confronti dell’Olocausto che si stava consumando sotto il suo Pontificato. Innanzitutto perché non ne ho l’autorità. In secondo luogo perché neppure gli storici di mestiere sono in grado di dare un’interpretazione oggettiva, quindi non di parte, sul periodo in cui fu Papa Pacelli. Ciò potrà avvenire solo quando saranno stati aperti ufficialmente gli Archivi vaticani, e la “storia” di quel travagliato periodo (dal 1939 al 1958) potrà essere valutato da studiosi, vaticanisti, storici.

Mi permetto di fare solo due riflessioni al riguardo.

La prima. Pio XII (che scomunicò i comunisti ma ignorò, con documenti ufficiali, le persecuzioni naziste) non poteva non essere a conoscenza di ciò che il Nazismo stava mettendo in atto per la “soluzione finale” nei confronti degli ebrei. Numerose sono le  documentazioni che lo testimoniano.

La seconda. Allo stesso tempo, Pio XII non poteva non essere a conoscenza di quanto gli Istituti religiosi cattolici (Chiese, conventi, ecc.) stavano facendo per “salvare” gli ebrei.  Senza assolutamente dimenticare le persone di fede cattolica che, anche a scapito della propria vita, si prodigarono per proteggere un elevatissimo numero di israeliti. Lo Stato d’Israele “iscrive” queste “persone” tra i Giusti di ogni tempo

Certo ciò è cosa ben differente dal non aver preso posizione netta contro quanto il nazismo stava perpetrando nei confronti degli ebrei.

La visita alla Sinagoga di Roma

Pur tra molteplici perplessità del mondo ebraico sull’avio di beatificazione di Pio XII, si è giunti alla tanto attesa visita alla Sinagoga di Roma.

L’evento ha avuto una risonanza a livello mondiale, e non solo italiano. Ne fanno fede i reportage al riguardo su giornali e televisioni estere, nonché internet. I giudizi, salvo alcune  voci di dissenso (veramente minoritarie, ancorchè autorevoli), sono stati positivi, da parte sia ebraica sia cattolica.

Mi sembra indicativo, oltreché emblematico, citare un articolo di Andrea Monda apparso su L’Osservatore Romano del 20 gennaio 2010 dal titolo: “Il Papa in Sinagoga? Un evento grandioso”. A colloquio con il Rabbino Jacob Neusner.

Stralcio alcuni passaggi dell’intervista.

Non c’era persona più adatta del rabbino Jacob Neusner – uno dei maggiori conoscitori e studiosi viventi del giudaismo – per dialogare con l’arcivescovo e teologo cattolico Bruno Forte sul Discorso della montagna. (omissis)

Nel 1993, Neusner scrisse il libro “ A Rabbi Talks with Jesus” (un Rabbino parla con Gesù). Ne suggerisco la lettura.

Prima dell’inizio del dialogo l’anziano rabbino di Hartford (Connecticut) ci ha raccontato la storia di quel libro:  “Quando stava per uscire proposi al mio editore di chiedere un giudizio, da inserire nelle note di copertina, al cardinale Ratzinger, che era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Egli mi diede del pazzo perché secondo lui il porporato non avrebbe mai accettato. Facemmo una scommessa e la vinsi. Ratzinger definì, tra l’altro, il mio saggio “il più importante uscito nell’ultimo decennio per il dialogo ebraico-cristiano” e aggiunse:  “L’assoluta onestà intellettuale, la precisione dell’analisi, il rispetto per l’altra parte unito a una radicale lealtà verso la propria posizione caratterizzano il libro e lo rendono una sfida, specialmente per i cristiani, che dovranno riflettere bene sul contrasto tra Mosè e Gesù”. Quando poi nel 2007 Benedetto XVI ha scritto il suo primo volume su Gesù di Nazaret [assolutamente da leggere, anche questo] ha avuto la finezza di riprendere il dialogo tra noi due dedicando diverse pagine a quel mio saggio del 1993″.

Benedetto XVI ha, infatti, in quest’opera citato Neusner più volte rispetto ad  altri giganti della Chiesa, quali, ad esempio, Sant’Agostino.

Un altro indice indiscutibile di questo dialogo è stata l’udienza privata che il Papa ha riservato lunedì 18 gennaio (il giorno dopo la Visita alla Sinagoga) a Jacob Neusner e a sua moglie Suzanne.

(omissis) Dice Neusner: “Abbiamo parlato dei nostri libri e lui [il Papa] mi ha confidato di aver finito di scrivere il secondo volume su Gesù” [che è di prossima uscita: ndr].

Continua così il Rabbino.

“I cattolici hanno appreso dal giudaismo l’interpretazione del mandato delle Scritture e gli ebrei hanno imparato dalla lettura cattolica. È una sfida profetica per entrambi. Ciascuno porta del suo e questo beneficia tutti, è un patrimonio che sosterrà le generazioni future».

E ancora.

“Ogni generazione ha la responsabilità per il futuro, e ce l’ha oggi, qui ed ora. Bisogna guardare avanti,e non solo indietro”.

Il rabbino Jacob Neusner, con le cui tesi il Papa aveva intessuto un dialogo teologico nel suo Gesù di Nazaret, ha sostenuto che è proprio grazie a uomini come questo Pontefice  che il dialogo ebraico-cristiano vive e prospera. Egli ha riconosciuto la bontà delle intenzioni del Papa, osservando che il nuovo corso iniziato con il Concilio

«è stato riaffermato nella risposta che con cuore puro il Papa ha dato alla mia conversazione immaginaria inserita nel mio libro».

È un corso che potrà avere intoppi, ha dichiarato Neusner, ma è irreversibile. E la stragrande maggioranza dell’ebraismo mondiale ha aderito a tesi simili riprendendo in pieno il cammino del dialogo.

Professore di storia e teologia del giudaismo al Bard College di New York, Neusner ha parole più che generose per l’attuale pontefice e sulla necessità del dialogo fra i due rami del monoteismo biblico. «Un grande rapporto di buone intenzioni anima le relazioni fra il giudaismo e la cristianità cattolica», dice il rabbino Neusner in un’intervista a Tempi.

Time Magazine lo ha definito «il rabbino preferito del Papa», ma ancora prima era «l’amico ebreo del cardinal Ratzinger».

…………………………………………………………………………………………………………

Il cammino della Speranza continua.

Un cammino verso la comprensione ed accettazione reciproca della diversità teologica.

Un cammino che prosegue, lentamente, con difficoltà, ma solo in una direzione: verso il futuro.

Senza assolutamente dimenticare ciò che di terribile è successo nel passato. Anzi per ricordarlo sempre.

Il resto è storia di questi giorni.

Roma, 14 marzo 2010

 

 

BIBLIOGRAFIA

[1] G. Korn – Il “deicidio” smentito dagli stessi Vangeli – Morashà, 2006

[2] C. Della Valle – Sul dialogo interreligioso (Blog nei miei links)

[3] Wikipedia, l’enciclopedia libera 

[4] J. Isaac – Verità e mito (titolo originale: L’insegnamento del disprezzo) – Carabba, 1963

[5] J. Isaac- Gesù e Israele- Marietti, 2001 

[6] Wikipedia- Concilio Ecumenico Vaticano II 

[7] S. Romano – Lettera a un amico ebreo – Longanesi, 1997

[8] M. A. Rivelli – L’arcivescovo del genocidio. Monsignor Stepinac, il Vaticano e la dittatura ustascia in Croazia, 1941-1945- Kaos Edizioni, 1999

[9] G.Korn – EbraismoNel mio Blog

[10] R. Di Segni – La preghiera per gli ebrei

 

 

ARTICOLI CORRELATI: 





IL PAPATO E GLI EBREI

22 01 2010

DOPO IL CONCILIO VATICANO II

Il cammino della Speranza

 

Prosegue nel nuovo articolo IL VATICANO E GLI EBREI

 

Questo scritto fa seguito al saggio [1] da me edito nel 2006, al quale rimando chi volesse approfondire argomenti sui quali, in questo lavoro, faccio solo un breve cenno per non ripetermi.

Il  saggio non tratta l’antisemitismo, ma vuole rappresentare il contributo personale (una goccia in un oceano)  che intendo dare per combattere questo “cancro dell’umanità”.

Quale futuro senza memoria?

 

PRESENTAZIONE

La conclusione del Concilio Vaticano II (7.12.1965) ha stabilito, nella storia veramente  travagliata dei rapporti tra ebraismo e cattolicesimo, un netto spartiacque.

Quasi in analogia all’avvento di Gesù, che ha diviso la Storia dell’umanità in un ben definito avanti e post Era Volgare.

Fino a questa importante data (conclusione del Concilio), vale a dire per quasi duemila anni dalla nascita del cristianesimo, si sprecarono le vessazioni, le persecuzioni, gli atti ostili che spesso e volentieri si trasformavano in veri e propri eccidi, anche di massa, contro chi aveva la sola colpa di professare la religione israelitica.

Non ho alcuna intenzione di ripetermi su quanto ampiamente argomentato in [1] a riguardo dell’antisemitismo di matrice religiosa e delle sue nefande conseguenze.

Due, principalmente, le accuse rivolte agli Ebrei, a partire dai tempi di Gesù per arrivare a quelli moderni: la calunnia del “deicidio” e, conseguente, quella della “maledizione divina”. Tanto orrende e devastanti le stesse, da provocare direttamente uccisioni di massa durate per secoli e, indirettamente, quanto la storia recente ci ha tristemente lasciato in eredità.

Si avrà modo di vedere, in seguito, più nel dettaglio ciò che ha rappresentato il Concilio nei rapporti tra cristianesimo ed ebraismo.  

Nell’era del dopo-Concilio, le relazioni tra il Papato e gli Ebrei sono state molto simili ad una strada fatta prima di discese, e poi di salite. Ma (almeno così si spera) essa rappresenta ormai un percorso unidirezionale,  quale quello del tempo (sempre in avanti, impossibile fermarlo). Un cammino analogo a quello di ogni vita umana.

Il cammino della Speranza.

Proprio riflettendo su tutto ciò, intendo elaborare un saggio (non certamente un trattato) che sia esaustivo ma, nello stesso tempo, sintetico. Un lavoro soprattutto organico, in grado cioè di offrire un quadro “unico”, non frammentato della storia del post-Concilio, di fatto appena iniziata. Valutando gli aspetti positivi, ma anche gli “intoppi” che, lungo questo cammino, si sono manifestati. Questi ultimi, a mio avviso, possono tuttavia trasformarsi in uno stimolo per superarli e proseguire ancora con maggior lena lungo la strada del Dialogo.

Tuttavia, prima di iniziare il lavoro, mi sembrano opportune alcune puntualizzazioni.

Innanzitutto, perché ho scelto di parlare di pontificato e non di Cristianesimo in generale, o di Chiesa in particolare? Tutta la cristianità, e non solo la Chiesa cattolica, fu da sempre impregnata di un feroce e “convinto” antisemitismo, di vero “astio” nei confronti degli ebrei. Sfociato in vessazioni, insegnamento del “disprezzo”, persecuzioni contro gli stessi, Inquisizione, pogrom, ecc. Basti, ad esempio, ricordare cosa rappresentarono in tal senso il disumano antisemitismo di Martin Lutero e, quello non certamente tenero, di  Giovanni Calvino.

Ciò è, tra l’altro, addebitabile al fatto che una lettura letterale, piuttosto che sapienziale,  delle proprie scritture può alimentare avversione verso gli altri, con tutto quello che ne può conseguire.  

Dopo la Shoà, si potè assistere ad un “ravvedimento” di buona parte delle confessioni cristiane, compresa quella cattolica ed ortodossa.

In secondo luogo,  perchè intendo esaminare il comportamento della Chiesa cattolica e, nello specifico, il Papato? Poiché essa è ben rappresentata nella sua totalità proprio dal Pontefice (il successore di Pietro), gerarchizzata al massimo, presente in ogni parte del mondo, e parlante con una sola voce.

Ritengo anche utile spendere due parole sul Revisionismo storico,  che oggi va tanto di moda. Da parte di alcuni  personaggi (ai quali negli ultimi anni si è pure aggiunto uno Stato non solo sovrano, ma anche membro dell’ONU), che si auto-definiscono storici [?], viene propugnato il “negazionismo”. Essi, cioè, negano che sia mai stata progettata e, men che meno, attuata (ma, grazie al Cielo, non portata a pieno compimento) soluzione finale nel confronto degli Ebrei (la Shoà). Di conseguenza, costituisce un’eresia il solo accennare all’esistenza dei campi di concentramento  (i Lager nazisti) e dei forni crematori. Sono tutte frottole, fandonie, invenzioni.

Rimango, a tal punto, semplicemente esterrefatto. Si arriva ad avere la spudoratezza di negare addirittura l’evidenza di quanto “provato” a livello mondiale, tramite resoconti di prima mano da parte di chi ha partecipato alla liberazione dei campi di concentramento (tuttora visibili), attraverso filmati, interviste, foto e quant’altro dei sopravvissuti. Lo si nega spudoratamente. Ne deduco, allora, che si possa smentire e stravolgere non solo la preistoria (che documentazione abbiamo a suo supporto?), ma anche la stessa Storia, “raccontata” prima verbalmente e, solo successivamente, per iscritto. Senza neppure l’appoggio di documentazione, di immagini fotografiche, né tantomeno di riprese filmate. E che dire (a riprova) della mancanza  dei  “sopravvissuti” di quei tempi (comprendendo, tra questi, sia  Gesù sia Maometto)?

Ma allora che cosa abbiamo, fin qui, studiato ed imparato dai libri di scuola?

E  sì, poiché oggi è diffuso il timore che, quando non ci saranno più i sopravvissuti della Shoà (nel mondo manca oramai poco, essendo trascorsi già troppi anni da allora), verrà a mancare la “documentazione vivente”, a riprova di questa immane tragedia umana, di chi ha vissuto sulla propria pelle ciò che ha rappresentato ed attuato il  nazismo.

Che assurdità!

Tuttavia, affinchè tutte le generazioni future possano ricordare l’immane tragedia generata dal nazismo, è stato raccolto un immenso volume di documentazioni in proposito. Non solo Israele, ma anche molti altri Stati, dispongono di testimonianze di sopravvissuti, documentazione scritta, fotografica, filmata su quanto è accaduto nei campi di sterminio  (termine più appropriato di concentramento). Attestati sempre in via di integrazione.

Primo Levi “parla e racconta” attraverso i suoi libri come se fosse ancora presente. Egli “vive” nel ricordo che di lui ha tutta l’umanità. 

A me non risulta che la Storia (quella con la esse maiuscola) si sia mai basata sui sopravvissuti in grado di raccontarla. Non c’è, dunque, qualcosa che “non quadra”?  

Se si nega l’evidenza, i documentari, i filmati, le foto e i racconti dei “salvatori”, quelli dei sopravvissuti, allora di che si parla?

E, per finire, una personale riflessione proprio sull’argomento in discussione: il tema stesso del saggio, che riguarda, in definitiva, quello che va sotto la dizione Dialogo Interreligioso.

E’ vero che Ebraismo e Cristianesimo (ma anche Islamismo) hanno radici comuni. E’ innegabile. Ma è altrettanto vero che, lo si voglia o no, le due Fedi sono teologicamente inconciliabili.  Ma è normale. Altrimenti non esisterebbe né il Cattolicesimo né l’Ebraismo (e neppure le altre confessioni Cristiane). Il sincretismo non è mai stato (a mio avviso, giustamente) mai ricercato né voluto. Mi conforta, in questo mio convincimento, un altro studioso delle religioni [2].

Ma proprio partendo da queste evidenti, connaturate diversità, e accettandole come “dono” divino, è possibile adoperarsi per  far sì che le Religioni, anziché fomentatrici di odio, di guerre, di spargimenti di sangue innocente, divengano sollecitatrici di Pace. Quella vera, però, e non la mors tua, vita mea. Si può e si deve perseguire proprio questo, attraverso il dialogo interreligioso.

Esso  è come un’automobile, costruita e già in movimento, la quale, per continuare il viaggio, ha però bisogno di essere sempre rifornita di carburante, e che i “guidatori” non facciano troppo uso del freno. 

Che le Fedi possano trasformarsi in Religioni per la Pace.

Mi propongo, dunque, di elaborare un’analisi dettagliata, una “cronistoria” organica  e ragionata (laddove possibile) sulla tematica in argomento, guardando con ottimismo al futuro. Perché il presente rappresenta le radici del tempo che verrà. Che sarà come noi lo progetteremo, e saremo determinati a costruirlo. Nulla di quanto l’uomo, la persona, può fare è predestinato. Il futuro è nelle nostre mani.

Personalmente  non sono affatto fatalista, non credo nell’astrologia, né tantomeno negli oroscopi. Il futuro non si può prevedere, ma lo si può creare.

Solo che lo si voglia.

 

IL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II

Gli accadimenti significativi che segnarono pesantemente i rapporti tra cristianesimo ed ebraismo sono stati da me trattati in [1]. Ad esso rimando gli eventuali interessati.

I Documenti conciliari sono formati da 4 Costituzioni, 9 Decreti, 3 Dichiarazioni.

Facciamo, allora, una breve cronistoria di come si è giunti ad indire questo Concilio [3], le cui risultanze hanno drasticamente mutato,  si potrebbe dire addirittura “stravolto” in positivo, l’approccio tra le due fedi monoteistiche.

Per una migliore comprensione della portata che questo Documento del Cattolicesimo ha rappresentato, allora come ora, è bene tuttavia fare un passo indietro.

Alla figura di Papa Giovanni XXIII (Angelo Roncalli, nato a Sotto il Monte [BG], il 25.11.1881, morto il 3.06.1963). Ebbi a definire, nello scritto citato, geniale questo Pontefice (analogamente a Papa Wojtyla). Lo riconfermo oggi. Egli, infatti, con tutti i suoi concreti atti, “rivoluzionò” letteralmente l’approccio tra Ebrei e Cristiani.

Salì al soglio pontificio il 28.10.1958, succedendo a Pio XII (Eugenio Pacelli, nato a Roma il 2.03.1876 e morto il 9.10.1958).

La straordinarietà di questo Vicario di Cristo fu evidenziata lungo tutto l’arco della sua vita, da semplice prete fino ad arrivare a Pontefice. Solo per analizzare la storia più recente, appare significativo ricordare la benedizione che Giovanni XXIII impartì agli ebrei che erano appena usciti dalla Sinagoga.

Una benedizione ai Giudei? Nessun Papa aveva mai osato tanto!

E ancora. Durante la liturgia solenne del Venerdì Santo precedente la Pasqua del 1959, Papa Roncalli, senza alcun preavviso, diede ordine di cancellare dalla tristemente (per gli ebrei) nota preghiera Pro perfidis Judaeis, che veniva recitata proprio in quel giorno, il penoso aggettivo che qualificava come “perfidi” gli Ebrei. Questo gesto commosse profondamente tutta l’opinione pubblica israelitica, suscitando, nel contempo, molte speranze.

Ma, ritornando al Concilio, fu proprio questa abolizione dalla preghiera pasquale, che indusse Jules Isaac, insigne studioso ebreo, [4] [5] a chiedere un’udienza a Giovanni XXIII. Gli venne accordata il 13.06.1960. In questa occasione il Prof. Isaac consegnò al Pontefice un documento, il cui contenuto si può sintetizzare nel modo seguente.

Nei rapporti con gli Ebrei viene tuttora promosso dalla Chiesa un disgustoso “insegnamento del disprezzo” che, nella sua essenza, è anticristiano.

E’ certo, per testimonianza diretta di Mons. Loris Francesco Capovilla , segretario personale del Papa, che quello fu il giorno in cui il Pontefice decise che il Concilio Ecumenico Vaticano II, dovesse occuparsi anche della questione ebraica e dell’antisemitismo (punto 4 della futura Dichiarazione Nostra Aetate).

Questo fu certamente, per l’ebraismo,  il capolavoro in assoluto di Giovanni XXIII, in ordine al riavvicinamento tra le due fedi monoteistiche.

Ecco, sinteticamente, la cronistoria (alquanto travagliata) ed i passi che hanno accompagnato il cammino del Concilio Ecumenico Vaticano II, pietra basilare anche per il Cattolicesimo.

Il Concilio Ecumenico Vaticano Primo fu il ventesimo concilio ecumenico, ovvero una riunione di tutti i vescovi del mondo per discutere di argomenti riguardanti la vita della Chiesa cattolica. Fu convocato da Papa Pio IX con la bolla Aeterni Patris del 29 giugno 1868.

Il secondo di questi Sinodi, quello in argomento, fu indetto nella Basilica di San Paolo da Giovanni XXIII il 25.01.1959, a soli tre mesi dalla sua elezione.

Il 16 maggio dello  stesso anno venne insediata una apposita Commissione antipreparatoria.

Il 25.12.61 il Pontefice licenziò il documento con cui convocava ufficialmente il Concilio.

Il 2.02.1962 Papa Roncalli promulgò infine il motu proprio “Consilium”, con il quale stabiliva il giorno di apertura dello stesso.

In base a questa decisione, il Concilio fu infatti aperto ufficialmente l’11.10.1962 con cerimonia solenne all’interno della Basilica di San Pietro in Vaticano.

Dopo la morte, avvenuta nel 1963, di questo impareggiabile Pontefice, la ritrosia di alcuni Vescovi conservatori nel continuare le discussioni spinse gli stessi a ritenere opportuna la sospensione dei lavori attinenti al Concilio.

L’elezione al Soglio pontificio di Papa Paolo VI (Giovanni Battista Montini, nato a Roma il 26.09.1897 e morto il 6.08.1978) avvenne il 21 giugno 1963. Nel suo primo radiomessaggio (22.06.1963), egli parlò della continuazione del Concilio come dell’”opera principale” e della “parte preminente” del suo pontificato, facendo così propria la volontà del suo predecessore.

Considerando tutti i precedenti,  nonché le numerose (e potenti) resistenze all’interno stesso dei Padri conciliari, viene proprio da pensare che certe scelte siano supportate direttamente dal “Signore”.

Il Concilio venne ufficialmente chiuso il 7.12.1965 nella Basilica Vaticana. Fu “licenziato” con 1763 voti a favore e 250 contrari. Un numero niente affatto trascurabile, per la verità!. Significa che oltre il 12% dei Padri conciliari “osteggiarono” la sostanza del Concilio.

A tal punto però, mi sembra poco corretto trascurare il ruolo che, dall’inizio fino alla definitiva stesura dei Documenti, ebbe all’interno dei Padri Conciliari il Cardinale Agostino Bea (nato il 28.05.1881, morto il 16.11.1968). Gli Ebrei devono molto a questo porporato, tenace quanto non mai.

In data 18.09.1960, Papa Roncalli affidò proprio a lui l’incarico per le relazioni con l’Ebraismo. Il Card. Bea fu il vero tenacissimo protagonista, non solo del documento sull’unità dei cristiani, ma anche e soprattutto della stesura della Dichiarazione 4 Nostra Aetate.

Non ho alcuna intenzione di ripetermi su ciò che scrissi in proposito in [1], anche per evitare di annoiare inutilmente chi legge. Voglio solo sottolineare l’immane fatica ed i numerosissimi intoppi che l’instancabile Card. Bea dovette superare. E dargliene atto, giustamente.

Spesso e volentieri, per appianargli la strada, dovette addirittura intervenire personalmente Papa Giovanni XXIII.

A puro titolo esemplificativo, riporto unicamente un mio passo.

Le vere resistenze derivavano, oltre che da una forte opposizione da parte degli stati Arabi (con conseguente timore dei cristiani per ritorsioni nei loro confronti), anche da una “minoranza”, peraltro ben agguerrita e rappresentativa, che si trovava sia dentro sia al di fuori del Concilio. Essa si dava alacremente da fare divulgando scritti critici e tendenziosi, tanto sulla persona stessa del Card. Bea, quanto sullo “schema” da lui distribuito ai membri del Concilio e predisposto per la redazione definitiva.

 

Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate”

Significa “Nel nostro tempo” e fa parte della Dichiarazione “Sulle relazioni con le religioni non cristiane”, n.4 Ebraismo. 

Analizziamo, molto sinteticamente, il contenuto del testo di questo importante Documento, rimandando ad [1] gli eventuali approfondimenti.

Viene innanzitutto affermato il vincolo spirituale che lega intrinsecamente la Chiesa cattolica agli Israeliti. Dopo aver riconosciuto il grande patrimonio spirituale comune ai cristiani e agli ebrei, essa ricorda anche che dal Popolo ebraico sono nati gli Apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, così come quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo di Cristo. Si passa, quindi, ad affermare quanto segue:

(omissis) gli Ebrei non devono essere presentati  come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo.

Dalla lettura del testo originale [6], si può tuttavia rilevare come sia stata abolita del tutto la frase che, nella prima elaborazione, scagionava esplicitamente gli Ebrei dalla accusa specifica di “deicidio”. Vale a dire che la condanna esplicita dell’antisemitismo è stata sostituita da una più semplice e blanda deplorazione dello stesso. Evidente la differenza!

Una volta di più si comprende quali “scogli” (un eufemismo) abbia dovuto superare il Card. Bea per mantenere ciò che lo stesso Papa Giovanni XXIII gradiva conseguire.

Solo confrontando il testo finale della Dichiarazione Conciliare (comunque alquanto  distante dal progetto originale) con le cento e più Bolle papali emanate contro gli Ebrei, con le decisioni prese dai vari Concili succedutisi tra il VI e il XIX secolo, nonché con le “disposizioni” vessatorie messe in atto da numerosi Pontefici, è possibile valutare positivamente questo documento nella prospettiva della storia cristiana.

A mio avviso si può concludere questo capitolo avendo la netta percezione che il Concilio Vaticano II abbia, in ogni caso, segnato una storica, epocale svolta nei rapporti tra cristiani ed ebrei.

Una “partenza” di un cammino difficile, che potrà presentarsi talvolta tormentato ma, personalmente ne sono convinto, comunque irreversibile.

 

I PONTIFICATI POST- CONCILIO

In questo capitolo desidero parlare solo di quegli interventi dei Pontefici che, dopo il Concilio, hanno avuto riflessi significativi sui rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo.

Preferisco rimandare (eventualmente) in appendice l’approfondimento di quei temi che rivestono una particolare importanza su quanto in argomento.

Uno di questi atterrà, molto probabilmente, alla questione riguardante Mons. Lefebvre e la Fraternità Sacerdotale San Pio X (nota anche con il nome di  Confraternità). Allo scopo di mantenere viva la tradizione liturgica di San Pio V, e più in generale la tradizione della Chiesa, Marcel Lefebvre fonda questa Comunità ad Econe, in Svizzera, il 7 ottobre 1970.  Questa decisione di Lefebvre faceva seguito alla sua  ribellione alla frettolosa attuazione delle riforme conciliari. Mons. Lefebvre, infatti, annunciò ai suoi seminaristi il rifiuto di accettare quanto deliberato dal Concilio Ecumenico Vaticano II. In seguito egli ne annunciò il rigetto totale, definendo questo importante Documento della chiesa cattolica “Il colpo da maestro di Satana”.

Una precisazione mi pare opportuna, per comprendere meglio la “ideologia” su cui poggia   questa Confraternità. Essa si rifà completamente alla tradizione liturgica di San Pio V. Questi è il papa ideatore fra l’altro, il 12 luglio 1555 attraverso l’enciclica “Cum nimis absurdum” (cioè, quando il troppo [leggasi Ebrei] è inopportuno) del “Ghetto ebraico in  Roma” che, come si vede, non è stata un’innovazione nazista. Nella stessa Enciclica, non bastando questo, vennero  imposte altre severe misure nei confronti della comunità ebraica.

Di quanti santi, come questi, è “affollata” la Chiesa cattolica?

Quello dei Lefebvriani è quindi, come si può ben intuire, un argomento complesso, di portata mondiale, spinoso che, in modo diretto, ha coinvolto (e, ad oggi, febbraio 2010, la “faccenda è tutt’altro che conclusa) ben tre pontefici: Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI.

Non “stralciare” tale tematica dal corpo centrale di questo lavoro, comporterebbe non solo un inutile appesantimento della lettura, ma anche lo sviare dagli obiettivi che mi sono imposto di perseguire: esaustività, sinteticità, organicità.

 

Papa Paolo VI

Paolo VI  va innanzitutto ricordato come il Pontefice che “sostenne”, e riuscì a concludere, il Concilio Ecumenico Vaticano II. Il 29.04.1965 venne pubblicata la sua lettera enciclica “Mense Maio”, con la quale invitava a pregare la Madonna per il felice esito del Concilio e per la pace nel mondo. A riguardo del Concilio, ecco cosa scrisse testualmente ”E’ la grande ora di Dio nella vita della Chiesa e nella storia del mondo”. 

Fu il primo Pontefice a viaggiare in aereo, nonché il primo ad effettuare un Pellegrinaggio in Terra Santa nel 1964. Visitò, in tale occasione, anche Israele [allora non erano ancora state allacciate le Relazioni diplomatiche tra i due Stati], incontrando, il 5.01.1964 il Presidente di questa Nazione, Salman Shazar.  

Il 15 gennaio 1973 il primo ministro israeliano Golda Meir venne ricevuto in Vaticano. L’udienza fu considerata un evento ”storico” e fuin effetti la prima volta che un capo di governo israeliano veniva ricevuto da un Pontefice. L’assenza di relazioni diplomatiche ufficiali contribuì a rendere elevato l’interesse per l’avvenimento, ma occorre ricordare che nel 1964 con la precedente visita di Paolo VI, la S. Sede aveva già operato una sorta di riconoscimento de facto dello Stato di Israele. L’incontro, richiesto dalla stessa Golda Meir, fu accettato di buon grado dalla Santa Sede, desiderosa di trovare un accordo con le autorità israeliane per regolare la questione dei Luoghi Santi e la situazione della comunità cattolica palestinese.

Nel luglio 1976  Marcel Lefebvre venne sospeso a divinis da papa Paolo VI (ovvero gli fu imposto il divieto di celebrare i sacramenti usando i nuovi riti), poiché, a seguito di un incontro con questo Pontefice nel settembre dello stesso anno, aveva rifiutato di sottomettervisi per motivi di coscienza.

Questi sono i principali eventi che hanno sottolineato il contributo tangibile di Papa Montini in ordine al riavvicinamento dell’ebraismo al cristianesimo, in generale, ed al cattolicesimo nello specifico.

Per volere di papa Giovanni Paolo II, l’11 maggio 1993, il cardinale Camillo Ruini, Vicario per la Città di Roma, ha aperto il processo diocesano per la causa di Beatificazione di papa Paolo VI.

 

Papa Giovanni Paolo I

Alla morte di quest’ultimo Pontefice (6.08.1978), gli succedette, il 26.08.1978, Albino Luciani (nato a Canale d’Agordo [BL] il 17.10.1912 e morto il 28.09.1978), il quale prese il nome di Papa Giovanni Paolo I (in onore dei suoi due predecessori). Il suo pontificato fu brevissimo (di soli 33 giorni). Purtuttavia, anche Papa Luciani ebbe il tempo di dare il proprio personale contributo positivo lungo il cammino di riconciliazione con l’ebraismo.

Sembra addirittura [7] che egli fosse deciso a spingersi ancora oltre a quanto proposto dallo stesso Concilio Vaticano II. Avrebbe, infatti, detto ad un sacerdote suo amico.

“Ci sono voluti i campi di sterminio per ridestare la coscienza dell’umanità e dei cristiani verso gli ebrei. L’Olocausto è anche un fatto religioso. Gli ebrei sono stati uccisi anche per la loro religione. Il pensiero e l’atteggiamento della Chiesa sono profondamente cambiati nei confronti degli Ebrei. Noi dobbiamo illuminare i cristiani e spronare preti e vescovi a parlare chiaramente e apertamente. Noi cristiani abbiamo ancora molto da imparare dai fatti e dalla storia del popolo ebraico. Dobbiamo togliere al venerdì Santo il significato di memoria contro gli ebrei, che durò per quasi duemila anni (e lo rileva un Pontefice!). Papa Giovanni XXIII lo ha già fatto, ma occorre fare di più. Non dimentichiamo che queste due parole “Venerdì Santo” suonano ancora oggi nella mente dei vecchi ebrei, sparsi nel mondo, come un triste ricordo, a volte tragico, per i fatti che accadevano contro le loro comunità”.

Parole pesanti come macigni, ma  colme di ottimismo e di speranza. E quale grandezza d’animo, quale insegnamento importante per molti cristiani.  

 

BIBLIOGRAFIA

[1] G. Korn – Il “deicidio” smentito dagli stessi Vangeli – Morashà, 2006

[2] C. Della Valle – Sul dialogo interreligioso (Blog nei miei links)

[3] Wikipedia, l’enciclopedia libera 

[4] J. Isaac – Verità e mito (titolo originale: L’insegnamento del disprezzo) – Carabba, 1963

[5] J. Isaac- Gesù e Israele- Marietti, 2001 

[6] Wikipedia- Concilio Vaticano

 [7] S. Romano – Lettera a un amico ebreo – Longanesi, 1997

 

In elaborazione





HAMAS

19 01 2010

Fa parte dell’articolo  LA PACE POSSIBILE

Praticamente, in modo diretto o indiretto, quasi tutto il mondo vorrebbe che Israele, in nome del “processo di pace”, trattasse anche con Hamas. Un movimento politico che vuole esclusivamente la distruzione d’Israele e l’annientamento fisico degli ebrei. Un’emanazione preminentemente antisemita, ancor prima che anti-israeliana. Gli scettici (non certo gli antisemiti inveterati) dovrebbero, se lo desiderano, leggersi lo Statuto di Hamas. Ecco l’URL: 

http://it.wikipedia.org/wiki/Hamas#Statuto_di_Hamas_del_1988

Ora, per quale motivo uno Stato dovrebbe trattare con chi non solo non lo riconosce, ma vuole la sua “totale eliminazione dalla faccia della terra”.

Qualcuno è in grado di smentirmi?

Che se ne farebbero gli Israeliani, da “morti”, di una trattativa di tal genere con Hamas?

I Palestinesi (anche quelli di Al Fatah, il cui Presidente è Abu Mazen), nonché molte nazioni non solo arabe, sostengono che Hamas va “consultato (?!)” poiché è stato eletto “democraticamente”. Il che vuol dire con la “maggioranza numerica”, che non necessariamente, però, ha qualcosa a che vedere con la democrazia, avente una valenza preminentemente etica, di rispetto di una persona per l’altra.

Occorre, ancora una volta, ricordare che anche Hitler fu eletto democraticamente?

Solo in ciò stà il “nocciolo” del “trattare con Hamas”. Si dovrebbe discutere con una parte che vuole solo la mia distruzione, il mio suicidio, rubare la mia terra con  tutto quello che in 60 anni ho costruito veramente con il sudore della mia fronte?. Perché mai? Che senso avrebbe? A quale “accordo” si perverrebbe? [2]

Chi mi può smentire, senza ipocrisia, settarismo, malafede?

Sarei contento di saperlo.

 

Da parte Israeliana viene rilevato che anche Al Fatah (in cuor suo, pure se in modo meno palese) non desidera la pace con Israele, ma solo raggiungere ciò che “spera” lo stesso Hamas (e Iran, Siria, ecc.).

Mi rifiuto di crederlo! Penso che i “popoli” israeliano e palestinese (uomini, donne, bambini) ambiscano innanzitutto a vivere e non a morire (per quale causa? Un pezzo di terra? La scomparsa d’Israele?).

Mi rifiuto di credere che Israele un giorno (non so quando: spero quanto prima) non possa vivere in PACE.

Mi rifiuto di pensare che i Palestinesi non vogliano vivere (piuttosto che immolarsi), progredire, prosperare, far crescere i propri figli per farli diventare non dei “martiri” ma delle persone aventi le stesse opportunità di ogni altro uomo o donna.

Mi rifiuto di crederlo perché, per me, nulla è più sacro della vita umana

Non   dobbiamo disperare, ma dare il nostro (per quanto insignificante) contributo per debellare quanto c’è di male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 





IL “MURO”

18 01 2010

Fa parte dell’articolo  LA PACE POSSIBILE

 

Dopo i quasi diuturni attacchi terroristici da parte di kamikaze palestinesi, che perduravano da anni seminando morti e feriti tra civili inermi, Israele decise la costruzione del ”muro” a protezione dei propri cittadini.

Questo è il primo dovere di uno Stato: difendere l’incolumità di coloro che vivono nello stesso.

Israele, di fronte a mali estremi, mise in atto un “estremo rimedio”. Quale Nazione, nelle stesse condizioni, non avrebbe agito similmente? Senza ipocrisia…..

Costruire ponti invece di separazioni! Belle parole, ma come realizzare questo nella pratica se non esistono le condizioni “minime” per poterlo fare?

Dopo la costruzione del muro, gli attentati terroristici diminuirono drasticamente: era questo l’unico obiettivo d’Israele.

Non va neppure dimenticato (lo si fa troppo spesso, in mala fede) che, anche in questo frangente, Israele “reagisce” ad una provocazione, che viene da parte palestinese, e non viceversa.

Da parte dei Palestinesi, ovviamente, questa “costruzione” è vista come una maledizione, per due motivi.

In primo luogo, per le famiglie palestinesi che si ritrovano “divise” dal muro, ciò crea forti disagi (un eufemismo?), sotto l’aspetto sia pratico sia psicologico. In secondo luogo, i Palestinesi vedono questa costruzione come futuro confine che dovrebbe dividere i tanto auspicati “due Stati”: Israele e Palestina.

Personalmente ritengo possano esservi le condizioni politiche per “limitare” al massimo il “peso” di questo muro.

Ci vorrebbe una netta presa di posizione da parte dei Palestinesi per evitare gli attacchi terroristici dei kamikaze (è questa l’unica causa della costruzione del muro). Contestualmente (raggiunta tale condizione essenziale) ci vorrebbe pure da parte d’Israele una propensione a “correggere” quanto di negativo ciò comporta per i Palestinesi.

Una pura utopia?

Mi auguro non lo sia!  





IL LIBERO ARBITRIO.

15 11 2009

ESISTE, O NON E’ POSSIBILE?

 

Questa volta intendo chiedere, e lo faccio solo ora, esplicitamente il parere di chi avrà la pazienza di leggere le mie successive riflessioni. Perché? Per almeno due motivi.

Il primo. Da sempre sono affascinato, ed in un certo qual modo ossessionato, dal pensiero se l’Uomo (la persona, uomo o donna che sia)  sia realmente dotato di “libero arbitrio”, oppure no. Ho consultato, nel corso degli anni, numerosissimi testi al riguardo. Più o meno autorevoli, più o meno approfonditi. Tutti mi hanno suggerito “qualcosa”; nessuno mi ha dato risposte definitive (ve ne sono?).

Il secondo. Sono pienamente consapevole che, con le sole mie forze e capacità, non sarò mai in grado di darmi una risposata al quesito, di “andare oltre”. Lo vorrei invece fare, perché sono del parere che l’argomento sia di estremo interesse, perché inerisce allo stesso “essere” della persona, in quanto differente dalle realtà animali (che, tra l’altro, molto spesso hanno da insegnare a “noi umani”). L’individuo ha come qualità distintive da questi ultimi, la razionalità, la creatività, la parola, e la facoltà di poter scegliere, consapevolmente, tra il bene ed il male.

Aggiungerei una terza considerazione. Sono del parere (e quindi, ognuno è libero di contraddirmi) che l’argomento riguarda, trasversalmente, sia i credenti (in Dio, comunque Lo si voglia denominare) sia gli atei. Ognuno, ovviamente, con differenti idee in merito alla problematica.

E’ mia intenzione sviluppare le successive riflessioni in modo tale da  sollecitare le opportune  “contro- riflessioni” di chi mi leggerà.

Questo il quesito di fondo su cui riflettere con l’obiettivo di tentare di dare una risposta, quanto meno plausibile.

Siamo veramente liberi di fare le nostre scelte in piena autonomia? Oppure, inevitabilmente, ne veniamo in qualche modo limitati, condizionati? O, ancora, non siamo affatto in grado di utilizzare il “libero arbitrio”, ma ci illudiamo di farlo, essendo noi, di fatto, legati indissolubilmente ad un “destino” che sfugge totalmente al nostro controllo?

Domande complesse, talvolta addirittura inquietanti, sulle quali mi propongo di argomentare e, soprattutto, di sollecitare il pensiero di chi mi leggerà.

Immaginiamo, per un solo momento, che l’Uomo non abbia la facoltà di esercitare il libero arbitrio, essendogli esso precluso, per i credenti, da Dio stesso, per i non-credenti, dal destino o Fato che dir si voglia.

Mi chiedo, allora, quale merito possa vantare colui che, nella sua vita terrena, abbia scelto di comportarsi in modo tale da perseguire il “bene” e, viceversa, che demerito si possa addossare a chi abbia scelto di seguire il solco del male (per denaro, potere, ricerca di notorietà, fino ad includere addirittura il fascino del sadismo).

Se le nostre scelte rappresentano un puro sogno, una irrealtà, un’illusione, dal momento che tutto è, invece, preventivato da Dio, dal destino o dal Fato che sia, ne consegue che “non può esistere” il libero arbitrio.

Ma, allora, c’è da riflettere seriamente se siamo tutti dei semplici “burattini”, le cui fila Qualcuno o qualcosa di insondabile, inconoscibile, fuori comunque dalla portata della nostra mente razionale (ma, umanamente, limitata) muove a proprio piacimento.

Quale delusione, però! Sarebbe questo l’uomo dotato di creatività e, soprattutto di “volontà”, intesa proprio  come antitetica al semplice istinto, prerogativa degli esseri animali?

Per contro, ci si può rendere contestualmente anche conto che “non tutto” è alla portata della libera scelta della persona.

A cominciare dalla sua nascita e dalla sua morte fisica. Né è pure possibile “scegliersi” l’ambito geografico, il contesto religioso e storico in cui venire alla luce.

Nascita e morte. Due granitici paletti entro i quali si svolge tutta la nostra esistenza terrena (l’unica, peraltro, che ci è data a conoscere). Soprattutto insondabile è il  “soffio della vita”, quello che precede ogni e qualsivoglia tipo di “evoluzione”.

Anche il grande Darwin aveva intitolato la sua geniale opera “L’origine della specie”. A riguardo di questo lavoro veramente enciclopedico, va tuttavia rilevato (qualcuno è in grado di smentirmi?) che lo scienziato-naturalista non riuscì mai a dare una risposta definitiva a quale fosse realmente “l’origine” della specie che, si badi bene, non coincide con l’evoluzionismo, ma ne è il presupposto.  

A tutte le riflessioni fin qui svolte, se ne  interconnettono altre, tra le quali: :

  • il problema del “male”;
  • l’eventuale intervento (intromissione?) di  Dio in questa vicenda.

Andiamo per gradi.

Appurato, almeno in linea di principio, che si possa parlare in ogni caso solo di un libero arbitrio condizionato,  cioè della possibilità di sola scelta tra il bene ed il male, viene da chiedersi (da parte dei Credenti): ma Dio può intervenire o condizionare le “nostre” decisioni?

Ecco il punto: il problema del male, che deve essere valutato sotto due profili.

Quello inerente alla sofferenza “collettiva”. L’Olocausto degli ebrei, in primis, ma non solo di essi. Vanno annoverati anche i milioni di Russi morti, le vittime nell’intera Europa, così come pure gli stessi Tedeschi totalmente “innocenti” della pazzia del Nazismo, e che non furono pochi. Da aggiungere anche altre tragedie umane del passato e del presente (la fame endemica, la morte infantile di milioni di esseri innocenti, le guerre, le dittature, le discriminazioni sociali: per religione, etnia, sesso, la violenza alle donne in quanto tali, ecc).

E quello del “male” che affligge il singolo individuo, in sintesi “le malattie”.

Viene spontaneo, in entrambi i casi, chiedersi: ma dov’è Dio quando tutte queste tremende “offese immorali” vengono a concretizzarsi?

Se il Signore è perfettamente Buono (desidera, cioè il “bene” per l’essere che Egli ha creato), perché permette il sopravvento del male sul bene. Perché è proprio a questo che noi, comuni mortali, in realtà quasi da sempre assistiamo “impotenti”, o quasi. Come si concilia un “orrore” fuori della portata di ogni ragionevole comprensione, con la perfetta Bontà di Dio?

E ancora c’è da domandarsi. Se Dio è inoltre perfettamente Giusto  e, soprattutto, Onnipotente, non poteva Egli opporsi alle immani tragedie del passato, alle catastrofi generate dalle Crociate, dai Got mit uns (Dio con noi, dei nazisti), all’Inquisizione, alle Guerre sante (le vuole Dio! Quale pazzia!), che tutt’oggi continuano a “spopolare”?

E’ questa l’Umanità che il Signore volle all’atto della Sua creazione?

Come una ciliegia tira un’altra, così io vengo letteralmente sollecitato da questo interrogativo a pormi ulteriori “domande”.

Perché Dio non risponde alle richieste di aiuto contro il male dilagante? 

Ed ancora. Se il Signore (tra l’altro, “modellatore” del passato, del presente e del futuro), tra i tanti Suoi attributi “assoluti”, ha anche quello dell’Onniscienza, come è spiegabile che Egli, ad un certo punto, si sia  pentito di aver creato la Sua creatura, l’uomo, fatto da Lui a Sua immagine e somiglianza?

E Dio disse: ” Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza. (Gen. 1,26)

Ma, in seguito:

 … e il Signore si pentì d’aver fatto l’uomo sulla terra, se ne dolse nel Suo cuore (Gen. 6,6/7).

 Perciò [Dio] disse a Noè: “La fine di ogni carne è giunta davanti a me… (Gen. 6,13).

Sono domande “angoscianti” che si sono posti teologi, sociologi, filosofi, umanisti.  

Taluni, al riguardo, hanno avanzato la seguente ipotesi.

Una volta creato l’universo, il mondo e l’uomo, Dio ha pensato che non c’era più nulla da dare a questo suo “essere”.

Anche in relazione al fatto che Egli aveva donato alla “persona” ciò di cui stiamo proprio argomentando: il libero arbitrio, la possibilità cioè di scegliere tra il bene ed il male. In caso contrario, non sarebbero spiegabili le promesse di “premi” e di “punizioni” che si ritrovano copiosi nella Bibbia (sia Antico, sia Nuovo Testamento).

Dio, così facendo, ha reso l’uomo responsabile delle proprie azioni, facendolo essere  anche veramente libero.

Tuttavia, padrone di attuare, purtroppo, anche le più orrende efferatezze nei confronti dei propri simili.

Questa “interpretazione” viene solitamente conosciuta con la dizione eclissi di Dio.

Ma, se così fosse realmente, ci si chiede quale significato possa assumere allora la preghiera, caposaldo di tutte le religioni.

Tramite essa ci si rivolge a Dio per “chiederGli” sempre qualcosa di buono, non di cattivo: un aiuto, un conforto nella disgrazia, nel bisogno in ogni caso. E’ l’uomo che soffre che si rivolge sempre a Dio.

Ma se il Signore Iddio non risponde più, qual è il significato da attribuire alla preghiera?

Con essa ci si intende riferire non alla Benedizione rivolta quotidianamente a Dio (emblematica soprattutto per la religione ebraica, laddove si assiste ad una esaltazione continua della Sua grandezza, all’Inno a Dio, alla Sua lode: dalla mattina alla sera), bensì a quanto ci dovrebbero richiamare nomi quali: Fatima, Lourdes, Medjugorje, la Kaaba.

In questi luoghi  si va per chiedere sempre una “grazia”, l’allontanamento di qualcosa di “pericoloso, nocivo”.

E ancora. L’aspettativa dei “miracoli”, come si concilia con queste considerazioni?

Una riflessione a margine dell’Onniscienza ed Onnipotenza di Dio nelle Sacre scritture, mi sembra opportuna; per sottolineare, anche, come le Religioni, pure “rivelate”, possano offrire interpretazioni differenti su alcune tematiche essenziali.

Sull’Onnipotenza di Dio (Allah), il Corano considera talmente eccelso questo attributo della Divinità, da esprimersi nel modo seguente:

Allah, nella Sua Onnipotenza, può (se lo vuole) anche “ricredersi”, ed addirittura “correggersi” , se del caso, senza per questo dover rendere conto in alcun modo agli Islamici.

 E’ questo un modo per “significare” infinita l’Onnipotenza di Allah.

…………………………………

Concludo.

Personalmente, come già accennato, ritengo che l’Uomo, proprio in quanto tale anche sotto il profilo teologico, non possa essere una “marionetta” i cui fili siano  mossi da Dio.

Questo il mio soggettivo pensiero.

Comunque, chi pensa, invece, che tutto sia esclusivamente nelle mani del Signore,  ha da parte mia la massima considerazione e stima.

Si tratta, in ogni caso, di due concezioni che, per essere supportate, hanno bisogno solo di “credere” in esse.

Roma, 17.11.2009





ISRAELE DEVE…

15 11 2009

 

Israele deve…

Tutto il mondo si sente in diritto/dovere di “dare consigli” ad Israele, se lo stesso vuole conseguire la pace. Lo fanno l’Europa, la Russia, i paesi “non” (?) allineati, il Canada, la Svezia, gli stessi Stati Uniti per bocca del loro Presidente Obama. E sia ben chiaro, io stimo questa persona e, tutto sommato, ho fiducia in lui. Speriamo sia ben riposta.

Quale il “consiglio” che vorrebbero dare “quasi” (con poche eccezioni, solo per loro proprio   tornaconto) tutti i Paesi arabi, è cosa nota a tutti.

Ora, è chiaro che, per raggiungere la pace, si debba arrivare ad un compromesso, e conseguentemente fare anche delle rinunce dolorose. E’ una cosa ovvia.

Se c’è al mondo uno Stato che aspiri a vivere in pace, questo è certamente Israele. Sono oltre 60 anni che lo stesso deve vivere sempre nel terrore di attentati, assediato da centinaia di milioni di arabi che vogliono “solo” il suo annientamento, la totale distruzione.

Si deve trattare. Ma con chi? Si devono bloccare gli insediamenti, se no… Si deve trattare anche con Hamas, dal momento che è stato eletto democraticamente. Ma c’è da chiedersi: è democratico uno stato che vuole solo la distruzione di un altro stato (e già questo è un obbrobrio), nonché l’eliminazione di tutti gli Ebrei. Che concepisce la “pace”  come “mors tua, vita mea”. E, stiamo ben attenti, non solo mors d’Israele, poichè il fondamentalismo islamico aspira a vivere solo ed esclusivamente lui, non essendovi neppure lo spazio per Stati Arabi cosiddetti (?) laici.

Il mondo dovrebbe essere totalmente islamizzato, e sottomesso alla legge della Shari’a. Che visione apocalittica, da incubo: tutti uguali, militarizzati: delle marionette! E’ riduttivo definire tutto questo solo grigiore?

Tuttavia unicamente ad Israele il mondo chiede rinunce.

C’è da chiedersi se questo Stato dovrebbe trattare con se stesso oppure, almeno sulla carta, sarebbe opportuno ci fosse una controparte con cui farlo?

Si vogliono costituire due Stati per due Popoli. Benissimo, ben venga!

Ma anche in tal caso nasce un grosso dilemma. Per chi? Ma solo per Israele, è ovvio.

Mi spiego meglio. Quando Netaniahu pose ad Abu Mazen, come condizione per riprendere i negoziati interrotti, il riconoscimento d’Israele come stato ebraico, ebbe come risposta che questa Nazione doveva essere “per forza” laica, a-confessionale. Evidenzio  che, personalmente, non ho simpatie particolari per Netaniahu ma, nel contempo, non mi sento assolutamente abilitato a valutare le sue idee politiche, non conoscendo la realtà d’Israele, né abitandovi. Conosco solo (abbastanza bene) la realtà italiana.

Dunque Israele “non” può essere uno Stato Ebraico. E perché?

Iniziamo dal suo nome “Israele” (in analogia ad Italia, Francia, Stato del Vaticano, ecc.), non Stato Ebraico. Passiamo alle “percentuali” di cittadini che professano una data religione. In Italia, quanti sono, in percentuale, i cristiani rispetto alle altre confessioni religiose, pur tenendo conto della forte immigrazione in questo ultimo decennio? Secondo il censimento [3] del 2001, risulta che il 97,67% degli Italiani è battezzato secondo il rito della Chiesa cattolica. Dalle statistiche del 2008 (stime) risulta, logicamente, un incremento della presenza di Musulmani. Ma la preponderanza dei Cristiani rimane evidente. E che dire dello Stato del Vaticano: c’è qualche cittadino “non cattolico/cristiano” in esso? E ancora. In Arabia Saudita agli ebrei non è neppure permesso di entrare. Ma ciò non basta. Lo sapete che, se un “cattolico” si presta a visitare questo stato ma ha il passaporto da cui risulta un suo “passaggio” in Israele, non gli è permesso l’accesso? Gli esempi si sprecano, e non solo nei paesi arabi nei quali, anche se l’ebreo è “tollerato” (conoscete il reale significato di questo termine a proposito del medesimo?), la semplice appartenenza alla religione ebraica è considerato un “anatema”?

Passiamo al fatto che si dice non vi sia alcun riferimento alla identità religiosa negli altri Stati. Il che è assolutamente assurdo e falso. E su questo specifico punto, infatti, anche quanto segue è “solo” un’invenzione d’Israele?

  • Cosa hanno in comune, ad esempio, Afganistan, Algeria, Bahrain, Bangladesh, Brunei, Comoros, Indonesia, Iran, Iraq, Giordania, Kuwait, Libia, Malesia, Maldive, Mauritania, Marocco, Oman, Pakistan, Qatar, Arabia Saudita, Somalia, Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Yemen? Indovinato! L’Islam è la religione ufficiale (il Cristianesimo, ad esempio, non lo è per l’Italia), sebbene alcuni di questi Stati abbiano significative minoranze non-musulmane.
  • Cosa dire poi dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI) un raggruppamento intergovernativo (attenzione: non di credenti!) di 57 paesi, incluso lo “stato di Palestina”, il cui statuto parla della loro “fede comune” (e quella dei cristiani? E quella degli ebrei: ma per carità!).
  • Ed in Egitto, la Shari’a, la legge islamica, viene formalmente riconosciuta  come la sorgente del diritto.
  • Vi sono infine espliciti riferimenti ufficiali alla religione quali:   Repubblica Islamica dell’Iran, Repubblica Islamica della Mauritania, Repubblica Islamica del Pakistan. E poi si storce la bocca (un eufemismo) quando Israele vuole essere riconosciuto come Stato Ebraico. Una bella faccia tosta!

C’è, inoltre, da argomentare sul rifiuto del riconoscimento d’Israele. Ci si domanda: da parte di chi? Riconoscimento di che? Della sua esistenza. Nel mese di agosto 2009, l’ANP ha affermato che, se in breve tempo non verrà riconosciuto lo Stato di Palestina, la sua Autorità lo proclamerà nel 2010. Perché? Per il semplice motivo ché è uno “stato de facto” ? E allora che cosa si dovrebbe dire di Israele, del miracolo che ha fatto, di quello che è? Che belle dimostrazioni originali di coerenza.

Facciamo un ulteriore passo avanti.

Israele vuole, ricerca con assillo la “pace”. Quella vera però, non a costo della sua “sparizione o cancellazione dalla faccia della terra, che dir si voglia”. Poiché, da morti, a nulla servirebbe cercare soluzioni politiche.

In concreto, Israele si trova davanti due opzioni.

Per conseguire la pace bisogna trattare con il “nemico”: ovvio. Rimane sempre da individuare questa “controparte” e, soprattutto, definire quali obiettivi plausibili sia  possibile raggiungere.

Questa è la prima opzione, che va perseguita con ogni mezzo ad ogni costo, con tutte le forze. Tutto può essere messo in tal caso in discussione, a meno che, naturalmente, alla fine della “trattativa”, si possa essere cancellati, eliminati fisicamente

La seconda opzione (e l’auspicio è che mai possa in alcun modo realizzarsi) è così sintetizzabile. Se per conseguire la pace a tutti i costi Israele dovesse essere costretto a “trattare” con Hamas (ad oggi: un suicidio) o con chiunque perseguisse gli stessi obiettivi di questo movimento, che significato avrebbe il termine pace? L’eliminazione dello Stato d’Israele, la “cancellazione dalla faccia della terra, non solo degli Israeliani ma, in prospettiva, di tutti gli Ebrei nel mondo. “Mors tua, vita mea”! Una bella prospettiva, davvero!

Che interesse avrebbe Israele per tutto ciò. Meglio che morti (sì, diverrebbe questa la triste realtà), sarebbe mantenere (suo malgrado) lo stato attuale. Vale a dire: la continua minaccia del terrorismo, l’assedio di tutto il mondo arabo, il perenne stato di guerra (voluto dagli “altri”), l’enormità delle spese per il mantenimento dell’esercito (senza l’aggravio delle stesse Israele sarebbe, senza alcun dubbio, il più ricco e prospero Stato del mondo).

Sì, meglio questo orrore che la certezza di “non esserci più”. Per cosa battersi di fronte a tale evenienza esecranda?

La forza d’Israele. Se non l’avesse avuta (già a partire dal “rifiuto” da parte degli Stati Arabi alla “spartizione” effettuata dall’ONU con Risoluzione n. 181 del 1947), questo Stato sarebbe certamente “scomparso” ancora prima di nascere (e poi, Suez 1956, Guerra dei sei giorni 1967, Kippur 1973, Libano, Gaza, ecc.).

Quanta falsità, faziosità, acredine, odio nel trattare Israele! Fintanto che ci si ostinerà a non voler distinguere i fatti dalle finzioni, il pompiere dal piromane, il democratico dal despota, non si riuscirà a fare un passo di più verso la pace.

C’è da meravigliarsi che, dopo tutto quello che fa e dice nel proprio statuto, Hamas venga in varie parti del mondo osannato. No, se si continua ancora ad inneggiare a Hitler!

Se i quotidiani lanci di missili verso Israele cessassero domani stesso, il giorno stesso  finirebbe la “reazione” d’Israele.

La pace mondiale (ma quando mai, se i paesi arabi si scannerebbero volentieri solo per “minime” interpretazioni dottrinali!) sacrificando sull’altare non solo gli Israeliani, ma anche gli Ebrei. Per non parlare del resto del mondo. Si rifletta!

Ci si rende conto dell’abisso cui può giungere l’animo umano?

BIBLIOGRAFIA

[3] WIKIPEDIA, l’enciclopedia libera

[4] D. A. Harris – Scritti italiani – Edizioni AJC Italia – 2009

Roma, 22.09.09

“Bambini, massacriamo gli ebrei”

Un popolare programma televisivo di Hamas per bambini, che normalmente dà consigli come “date ascolto ai genitori” e simili, ha mandato in onda alla fine del mese scorso un appello a “massacrare” degli ebrei. Lo riferisce Palestinian Media Watch, ente dedicato al monitoraggio costante dei mass-media palestinesi.
Tutti gli ebrei devono essere “cancellati dalla nostra terra”, dice Nassur, un pupazzo ospite nel programma settimanale “I pionieri di domani”, diffuso dalla tv di Hamas Al-Aksa, rivolgendosi a un piccolo spettatore che ha telefonato durante la puntata del 22 settembre scorso. “Noi li vogliamo massacrare – aggiunge il pupazzo rivolgendosi alla giovane conduttrice – cosicché vengano espulsi dalla nostra terra… dovremo farlo massacrandoli”.
Nan Jacques Zilberdik, l’analista di Palestinian Media Watch che ha tradotto in inglese il programma, spiega che “I pionieri di domani”, trasmesso dalla striscia di Gaza, è fruibile via satellite in tutto il mondo.

Per vedere il filmato (con sottotitoli in inglese):

http://www.jpost.com/servlet/Satellite?cid=1254393089602&pagename=JPost%2FJPArticle%2FShowFull

“Bambini, massacriamo gli ebrei”
 
Un popolare programma televisivo di Hamas per bambini, che normalmente dà consigli come “date ascolto ai genitori” e simili, ha mandato in onda alla fine del mese scorso un appello a “massacrare” degli ebrei. Lo riferisce Palestinian Media Watch, ente dedicato al monitoraggio costante dei mass-media palestinesi.
Tutti gli ebrei devono essere “cancellati dalla nostra terra”, dice Nassur, un pupazzo ospite nel programma settimanale “I pionieri di domani”, diffuso dalla tv di Hamas Al-Aksa, rivolgendosi a un piccolo spettatore che ha telefonato durante la puntata del 22 settembre scorso. “Noi li vogliamo massacrare – aggiunge il pupazzo rivolgendosi alla giovane conduttrice – cosicché vengano espulsi dalla nostra terra… dovremo farlo massacrandoli”.
Nan Jacques Zilberdik, l’analista di Palestinian Media Watch che ha tradotto in inglese il programma, spiega che “I pionieri di domani”, trasmesso dalla striscia di Gaza, è fruibile via satellite in tutto il mondo. Si tratta di un programma che

Per vedere il filmato (con sottotitoli in inglese):
http://www.jpost.com/servlet/Satellite?cid=1254393089602&pagename=JPost%2FJPArticle%2FShowFull

E’ con “questo” Hamas che Israele dovrebbe trattare per raggiungere la pace? 

Roma, 22.09.09

  

 

Segnalatemi ogni errore, omissione, smentita. Ve ne sarò grato.





IL GERME DELL’ODIO

22 10 2009

COMPLETATO –  05.11.2009

Intendo sottoporre queste mie riflessioni non all’attenzione di chi odia preconcettualmente, in mala fede, per puro fanatismo, ma a coloro (e, meno male, sono la stragrande maggioranza delle persone) che sanno ragionare, discernere, ascoltare e non solo urlare le “proprie e sole” verità.

Rivolgersi a chi odia sordamente, con tutta l’anima, non condurrebbe a nulla, sarebbe solo tempo sprecato: un esercizio inutile.

Infatti non vi è peggior sordo di chi non vuol sentire, né cieco di chi non vuole vedere.

L’odio immotivato, fanatico, è estremamente pericoloso. Si dovrebbe arrivare a scuotere tutte le coscienze  per contrastarlo efficacemente.

Perché mi accingo ad esternare alcune mie riflessioni in proposito? Per il semplice motivo che ritengo l’odio sviscerato verso le persone,  gruppi sociali o quant’altro, la causa prima dei più efferati crimini e disastri consegnatici dalla Storia, i quali, purtroppo e ancora oggi, continuano a perpetuarsi, addirittura ad ingigantirsi.

Storia maestra di vita: sarà poi vero?

Homo homini lupus, dicevano con espressione colorita i latini. Ma perché, per quale motivo di fondo, si può accettare una tale affermazione? Perché la violenza gratuita dovrebbe prevalere sul vivere in pace tutti quanti? Non sarebbe meglio sostituire questo modo di dire con vivi e lascia vivere. 

Tutti hanno il diritto di vivere.

La sacralità della vita è il bene più prezioso per ogni “persona” in quanto tale (uomo, donna, bambino). L’ho detto più volte, e non mi stancherò mai di ripeterlo.

L’odio sordo, irrazionale, inspiegabile, immotivato, viscerale, va proprio contro questo “bene supremo”.

Non si odia soltanto, ma si vuole eliminare fisicamente il proprio nemico, uccidere lui e non solo l’dea di cui è portatore.

L’odio endemico può arrivare ad annientare l’Umanità.

Ciò premesso, vediamo innanzitutto qual è il significato intrinseco di “odio”.

Dal vocabolario TRECCANI. Sentimento di forte e persistente avversione, per cui si desidera il male o la rovina altrui.

Da WIKIPEDIA l’enciclopedia libera. L’odio è un sentimento umano che si esprime in una forte avversione o una profonda antipatia. Lo distingue la volontà di distruggere l’oggetto  odiato, e la percezione della sostanziale “giustizia” [convinzione assoluta di “aver ragione”] di questa distruzione. Si parla di “oggetto” odiato anche nel caso di odio verso  persone, perché queste non vengono considerate propri simili, esseri umani come chi odia, ma appunto oggetti invece che soggetti.

Non vi è alcun dubbio, invero, sul fatto che l’uomo sia l’animale che ha maggiormente sviluppato l’odio nei confronti dei propri simili.

Non bisogna trascurare neppure che l’odio si manifesta anche con la violenza psicologica, e non solo fisica. Essa tende ad uccidere la personalità dell’essere umano, pur rimanendo intatto il suo corpo.

L’odio, in definitiva, offusca la ragione, la caratteristica principale che ci distingue dagli animali. 

Eric Fromm nel suo libro Die Antwort der Liebe [La reazione all’amore] distingue due tipologie di odio, quello “reattivo” e l’odio determinato dal carattere, [in base al quale] costui crede che l’umanità sia printa [predisposta] all’odio anziché all’amore.

L’odio reattivo è sempre il risultato di una profonda ferita o di una situazione dolorosa e immutabile a cui ci si trova di fronte impotenti [che ha come reazione, ad esempio, la vendetta per un grande male subito ingiustamente].

Non desidero affatto dilungarmi in analisi di tipo sociologico, psicologico o filosofico, sia perché non ne ho alcuna competenza specifica, sia (soprattutto) perché lo ritengo inutile al fine delle successive riflessioni.

E’, comunque, mia intenzione soffermarmi ad argomentare esclusivamente sull’odio quale sentimento “estremo”, senza trascurare, tuttavia, l’odio “reattivo”.

Personalmente, infatti, sono dell’avviso (e quindi trattasi di una convinzione del tutto opinabile) che il sentimento d’odio non possa avere “sfumature”, ma debba essere caratterizzato dal “tutto o niente”.

Ecco cosa dice, in proposito, Vittorino Andreoli, uno psichiatra di fama mondiale. Penso comunque che bisognerebbe sottolineare che, quando si odia, non è possibile dire: “Odio al 50% o al 20%: se si odia, si odia”. E riporta che  Primo Levi diceva: “La ragione deve controllare l’odio”. Io [Andreoli]  penso che la razionalità sia  sicuramente uno strumento di controllo, ma non di eliminazione dell’odio, perché i sentimenti sono spesso diversi dal ragionamento: sono forti ed esclusivi.

D’altra parte, che significato si può conferire ad un odio sfumato, debole, delicato, ecc.?

L’odio che uccide

L’oggetto (appunto: non un “soggetto”) dell’odio viene in generale individuato nel diverso, che diventa allora il “nemico” cui contrapporsi, fino a giungere alla sua eliminazione fisica. “Diverso” è colui che non fa parte del proprio nucleo o categoria sociale in generale.

In primo luogo si odia per motivi di ordine religioso, razziale, etnico, comportamentale  (misoginia, omofobia). Ma si avversa anche chi non è fisicamente “normale” (non certo per sua volontà): handicappati, invalidi, ecc.  

Al di là della sostanza, oggetto di questo esaltato sentimento di repulsione è colui che non fa parte di una maggioranza in senso lato. E’ questa, e solo questa, che ha senza ombra di dubbio “ragione”, che è perfettamente e sempre nel giusto, che è “normale”.

Non si deve dimenticare mai che è stata proprio la maggioranza dei Tedeschi che mandò al potere (e continuò a sostenere)  Hitler. Ed esempi analoghi si sprecano.

C’è poi da chiedersi che cosa sia “normale”, e che cosa non lo sia. Ed ancora, se l’idea espressa dalla maggioranza sia di per sé garanzia di democrazia, e di scelte giuste. Qualora fossimo tutti eguali, (in quanto ad idee, fede religiosa, indirizzo politico, ecc) ci sarebbe sì l’uniformità, ma anche l’appiattimento, il grigiore più totale. Un’ umanità di “soldati burattini”.

Quale significato avrebbe il fatto di vivere  in un mondo di tutti buoni (o tutti cattivi)? Avrebbe ancora un qualche valore il bene, in contrapposizione al male?

L’odio che uccide va costruito, ricercando (spesso addirittura inventandoselo di sana pianta) un nemico da combattere, annientare e, prima ancora, da “disprezzare”. E’ proprio lo spregio per il diverso, a mio avviso, tanto il collante fra coloro che odiano, quanto la motivazione più forte per perpetuare nel tempo e nello spazio lo stesso.

Questo sentimento così negativo e pericoloso, dopo essere stato artatamente costruito, ha bisogno di crescere e ”mantenersi” duraturo.

Diviene imperativo, allora, “insegnarlo”.

L’antisemitismo (che, dopo due millenni di calunnie, disprezzo, istigazioni all’omicidio da parte della Chiesa Cattolica, ha portato all’orrore senza fondo della Shoà, nonché il razzismo nei confronti delle persone di colore (che è sfociato nella vergogna umana dello  schiavismo), sono esemplificatori di queste riflessioni.

Non è assolutamente mia intenzione dilungarmi sull’antisemitismo, argomento che ho avuto modo di sviluppare in alcuni miei scritti  [1]. Vorrei, tuttavia, fare solo un breve cenno su come si “insegna” l’odio.

Il “testimone”, dalla Chiesa (che ha riconosciuto- Nostra Aetate. Concilio Vaticano II – il suo ruolo nefasto nei confronti degli Ebrei: l’accusa di “deicidio”) è passato all’integralismo islamico (una vera “staffetta” con traguardo l’odio). Esso è, principalmente incarnato da Hamas, che si è inventato l’odio verso il sionismo, per mascherare il suo viscerale antisemitismo. Non è, infatti, affatto vero che Hamas avversi Israele: esso è contro gli ebrei di tutto il mondo. Basti leggere il suo statuto [2][3].

L’istigazione all’odio contro gli ebrei è documentato e risaputo da tutti (meno che da coloro i quali non vogliono né vedere né sentire. Da quelli che sono in grado di negare addirittura sia la prima, sia la seconda guerra mondiale). Cosa insegna Hamas ai bambini, fino dalle classi elementari? La cultura? Sì, quella dell’odio verso gli ebrei. Si è potuto vedere in questi giorni (ottobre 2009) addirittura filmati di bambini che, nella Striscia di Gaza,  lanciavano pietre contro gigantografie raffiguranti il loro presidente Abu Mazen. Perché? Per il semplice motivo che lo stesso aveva indetto nuove elezioni (avversate da Hamas) nel gennaio 2010. 

Il mantenimento “vivo” dell’odio, quindi, si consegue (è proprio questo l’obiettivo cui si mira) fomentandolo, gettando discredito, calunniando, facendo leva sull’ignoranza, l’invidia, e quant’altro. Manipolando le coscienze, per auto-convincersi, per mantenere sempre in vita un odio maniacale.

Che uccide.

Non ho altro da aggiungere, né intendo fare una valutazione politica che non mi compete, né mi interessa. 

 

I germi dell’odio

Ci vuole ben poco per seminare odio.

Ancor prima di giungere addirittura alla sua “cultura”, ci sono vari comportamenti “anormali” che possono trasformarsi in germi dell’odio. Sono proprio quelli che devono fungere da vero campanello d’allarme, senza dover aspettare che si trasformino in manifestazioni violente contro chiunque. Essi si annidano all’interno di quelle che, a prima vista, potrebbero apparire come innocue manifestazioni. 

Vogliamo citarne alcuni, solo a titolo di esemplificazione?

Poco peso si usa dare agli stupri di donne, al cosiddetto “bullismo” giovanile nella scuola e fuori di essa, alla violenza contro gli handicappati, i disabili, gli omosessuali, e anche i bambini, gli esseri più indifesi e, nella vera accezione  della parola, innocenti. Quale vergogna peggiore della pedofilia?

Si tende, tuttavia, sempre più spesso a “motivare” queste azioni, vigliacche ancora prima  che nefande, a parlare di ragazzate, semplici bravate di chi non si rende conto.. (ma via!), di chi agisce per noia (far del male per noia? E’ così che si sta evolvendo il mondo?).

Perché non si parla mai, invece, di piccoli delinquenti che crescono? Le parole hanno un gran peso nell’educazione delle coscienze.

Il bruciare le bandiere di uno Stato, il campanilismo esacerbato che può degenerare in scontri dentro e fuori gli stadi (talvolta anche con uccisioni), non sono affatto sintomi da sottovalutare. E che dire di quel fenomeno dilagante cui è stato dato il nome di “bullismo”? Ragazzate? Anche i delinquenti più feroci sono stati, un tempo, dei ragazzi.

Quale, in tutto ciò, il ruolo del gruppo, meglio ancora del “branco”? Rilevante! E’ con esso che si perde la personalità vigliacca del singolo, per assumere quella del branco. Forte con i deboli (le donne, i disabili, i bambini..), vile con i forti (si comporterebbero analogamente trovandosi di fronte ad un Tyson)? 

Si rischia di perdere la propria personalità all’interno di un gruppo, per assumere quella di quest’ultimo. 

Il campanilismo esaltato può degenerare in odio verso una città limitrofa, una regione, uno Stato.

Qualcuno è del parere che anche in alcuni passi dell’Inno di Mameli si possa annidare il seme dell’odio.

Ne riporto uno stralcio.

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Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò.  Nell’antica Roma alle schiave venivano tagliati i capelli. Analogamente la Vittoria dovrà porgere la sua chioma perché sia tagliata quale schiava di Roma, che sarà appunto vincitrice. Schiava di Roma, perché? 

Giuriamo a far libero il suolo natio: uniti, per Dio, chi vincer ci può? Per Dio: vi è una  doppia interpretazione possibile. Può essere un’imprecazione, ovvero può intendersi: per volere di Dio. Quale sarà stata mai  l’idea di Mameli? In ogni caso, sembra opportuno il richiamo a Dio per dichiararsi invincibili? 

Già l’Aquila d’Austria le penne ha perdute. Il sangue d’Italia. E il sangue Polacco bevè col Cosacco. Ma il cor le bruciò. L’Austria, alleata con la Russia (il Cosacco) ha diviso e smembrato la Polonia. Ma quel sangue bevuto [truculento] avvelena il cuore degli oppressori.

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Personalmente ritengo, invece, che il nostro Inno vada inserito nel contesto dell’odio reattivo, quello cioè attinente alla difesa della Patria minacciata, quindi in lotta eventuale contro un pericolo. 

L’odio reattivo

Un’ altro tipo d’odio, come già anticipato, è quello denominato reattivo. Con esso si intende caratterizzare una “azione in risposta” ad insopportabili soprusi, violenze, ingiustizie, regimi dittatoriali, tirannici. Rispondendo con odio (provocato “in   reazione”) alle ostilità messe in atto fondamentalmente da violenti e prevaricatori.

Gli esempi da produrre sarebbero molteplici; i lettori sono in grado di trovarli da soli.

Va, comunque, evidenziato che si può anche rilevare un aspetto (diciamo così) positivo nell’odio reattivo.

Intendiamoci, l’odio è sempre una manifestazione di per sé negativa. A scanso di equivoci, voglio, perciò, chiarire meglio tale mio pensiero. Se questa tipologia d’odio scaturisce, ad esempio, quale “ribellione” di masse represse (a causa di dittature, totalitarismi, tirannie), ne consegue che si riesce, in tal modo, a contrastare e, addirittura,  “rovesciare” ciò che esse rappresentano: il male. Basti riandare a quello che è accaduto con il Nazismo, lo Stalinismo, ecc.

La “sconfitta” del male viene ad assumere, pertanto, la valenza di una “manifestazione” positiva.

Nel contesto dell’odio reattivo, si assiste però ad un vero e proprio inspiegabile paradosso. Quello riguardante l’antisemitismo millenario, sfociato nell’orrore senza fondo  della Shoà.

Gli Ebrei sono stati per oltre 2.000 anni oggetto delle più svariate angherie, di  inimmaginabili soprusi. Senza alcun limite le calunnie inventate contro di loro. Per citarne solo alcune. Da quella del “deicidio”, ai falsi “Protocolli dei Savi di Sion”; dall’accusa di utilizzare il sangue dei bambini “cristiani” insieme all’azzima di Pasqua (Pesach ebraica), al loro continuo “complottare” contro il mondo intero, sempre e dovunque;  dal detenere il dominio dell’economia mondiale (che sarebbe accaduto se Bill Gates, Soros, W. Buffet, e – in Italia- Berlusconi, Ferrero [Nutella], Del Vecchio [Luxottica], ecc., avessero professato la religione ebraica?), all’essere (tutti, si badi bene) marxisti [per quelli di destra] o capitalisti [per quelli di sinistra]. Innumerevoli anche le “persecuzioni” fisiche sfociate in uccisione di massa di uomini, donne, bambini: i “pogrom” russi, imitati da quasi tutti gli Stati della Europa, l’Inquisizione Spagnola, fino al culmine della “Shoà”.

Ebbene, dopo tutti questi assassinii, ci si aspetterebbe, da parte degli ebrei, una reazione, un odio sordo verso tutti coloro che hanno (in buona parte) elimininati fisicamente i loro correligionari, fatti oggetto di millenario disprezzo.

E, invece, no. Sono sempre coloro i quali li hanno continuamente perseguitati a volere, ancora oggi (gli odierni neo-nazisti, reali o ideologici che siano) arrivare alla soluzione finale ebraica perseguita da Hitler, così come pure da Stalin.

Non vi sembra che ci sia qualcosa che non “quadri”?  

 

Conclusione

Sta solo ai lettori valutare i pericoli che possono scaturire dall’odio.

Sta solo a loro cercare di arginarlo, combatterlo, produrre gli anticorpi per isolarlo.

E’ unicamente per questo motivo che sottopongo loro queste mie riflessioni.

Le società possono svilupparsi e proseguire seguendo, invece che la cultura del nemico, della competizione esaltata e dell’odio, una cultura della cooperazione. Con la quale non si affermi l’eliminazione dell’altro, bensì la convivenza pacifica [5]. E’ questo di cui l’umanità ha bisogno, non di andare verso il baratro dell’”autodistruzione” cui una contrapposizione immotivata e preconcetta può portare.

Per chi cova odio verso i “diversi”, esiste solo l’individuo vincente, e manca totalmente in lui la consapevolezza della sofferenza gratuita patita dai perseguitati, od oggetto di soprusi. Vi è una assoluta mancanza di empatia [4]. Nella cooperazione, invece, il singolo è un elemento essenziale dell’unità-gruppo.

Qual è il vostro pensiero sull’argomento?

 

 

Mentre si rileva che esistono, nel mondo intero, varie associazioni contro il razzismo, quasi nulla di analogo esiste contro l’odio. Non mi risulta (grato se qualcuno potrà correggermi) che in Italia vi sia un qualche OSSERVATORIO al riguardo, mentre all’estero si trova almeno qualcosa.

Ad esempio:

Una organizzazione-WEB che monitorizza la crescita e l’evoluzione della minaccia portata dall’attività dei gruppi su INTERNET

Contrasto dell’odio da parte delle Nazioni. Articoli e statistiche forniti dalla  Leadership Conference Education Fund.

(Non so per quale motivo ma, al momento, questa pagina è stata   rimossa)

Bibliografia

[1]  Il “deicidio” smentito dagli stessi Vangeli

[2]  HAMAS ESISTE?

[3] STATUTO HAMAS

[4] EMPATIA: UN ANTIDOTO

[5] V. ANDREOLI-L’ODIO 

 

 





ALLA VITA!

17 09 2009

Non mi stancherò mai dal sostenere che, per l’uomo, non vi è nulla di più importante della sacralità della vita. 

Non cesserò mai dal dare un, sia pure insignificante, contributo alla “convivenza pacifica” tra tutte le persone, qualunque siano la loro fede, l’etnia, le convinzioni sociali. 

Sarebbe così bello se, in questo unico mondo che ci “ospita”, si riuscisse a vivere tutti in pace. E’ possibile. Basterebbe immedesimarsi sempre nell’”altro” (ah, l’empatia!) e realizzare semplicemente il “vivi e lascia vivere”. 

Queste riflessioni trovano, ogni tanto, conforto nel constatare che vi sono anche non poche altre persone che la pensano come me. 

L’articolo, che ripropongo di seguito, ne è una testimonianza interessante. 

Lo pubblico integralmente. Mi sono permesso solo di evidenziare  alcuni punti in grassetto. Me ne assumo la responsabilità.   

………………………………………………………………………………………………………

 

ALCUNE COSE CHE HO IMPARATO

di Peppe Sini

 

“Quod apud Graecos in proverbium cessit: talis hominibus fuit oratio qualis vita”

(Seneca, Ad Lucilium, 114, 1)

 

Il vantaggio di avere una lunga barba bianca, ovvero di essere ancora vivo a un’età in cui si sa di essere fortunati ad esserci arrivati, è che alcune cose dovresti averle imparate.

*

1. Ho imparato che la giusta e necessaria lotta di liberazione e di solidarietà dei popoli e delle classi oppresse deve essere nonviolenta, o sarà destinata alla sconfitta, ed in questa sconfitta sarà travolta l’umanità intera. La nonviolenza è la lotta di liberazione e di solidarietà che l’umanità intera raggiunge, convoca, riconosce, salva.

*

2. Ho imparato che l’unica vera fondamentale misura della libertà di tutti è nella libertà femminile: una società – o una cultura – che nega la libertà delle donne è già il fascismo.

*

3. Ho imparato che la civiltà umana si fonda sul riconoscimento dell’altrui umanità e sulla comune responsabilità per la biosfera. E che quindi l’uccidere e la guerra sono nemici assoluti dell’umanità, ed è compito dell’umanità intera e di ogni persona in cui essa si incarna contrastare la guerra e le uccisioni, e di esse tutti gli strumenti, gli apparati e le logiche.

*

4. Ho imparato che non sarà la lotta armata (sia essa degli eserciti regolari degli stati arabi, della guerriglia di liberazione nazionale, del terrorismo fondamentalista) che potrà garantire la nascita di uno stato in cui il popolo palestinese possa vivere in libertà, sicurezza e benessere. Solo la pace garantirà la libertà e i diritti del popolo palestinese in uno stato di Palestina indipendente e democratico al fianco dello stato di Israele. Chi uccide o tenta di uccidere pretendendo di farlo in nome del popolo palestinese, del popolo palestinese è nemico.

*

5. Ho imparato che nessuna guerra potrà mai garantire la sicurezza della popolazione dello stato di Israele e l’esistenza stessa di quello stato, anzi ogni guerra accrescerà il pericolo per essa ed esso. Politicanti irresponsabili e assassini facendo la guerra possono vincere le elezioni, certo; ma nessuno spargimento di sangue potrà portare pace, sicurezza, benessere. Solo la pace garantirà la sicurezza e il benessere della popolazione israeliana in uno stato di Israele sovrano e democratico al fianco dello stato di Palestina. Chi uccide o tenta di uccidere pretendendo di farlo in nome della popolazione e dello stato di Israele, del popolo e dello stato di Israele è nemico.

*

6. Ho imparato che in Europa Hitler ha seminato tanti seguaci ed eredi che sono divenuti legione e prominenti non solo nei governi di destra e nelle gerarchie religiose, ma finanche nei gruppi dirigenti e nelle basi militanti della sedicente sinistra (che pertanto sinistra già non è più). Di solito costoro fingono di essere contrari ai pogrom, fingono di essere inorriditi dalla Shoah, fingono di non essere più razzisti. Ma ogni tanto, anzi fin troppo spesso, le loro parole e i loro gesti più banali e irriflessi tradiscono un loro più fondo pensiero e talune loro più profonde intenzioni, ed a me che soffro di nevralgia del trigemino e basta un nonnulla per sentirmi trafiggere quasi non passa giorno che non percepisca nelle parole di autorevoli religiosi, di neofascisti e razzisti in doppiopetto o in orbace, e di scalmanati, imprenditori e burocrati dello squadrismo che pretende spacciarsi per sinistra, le stesse frasi, gli stessi scarponi, lo stesso filo spinato, lo stesso corso di ferine pulsioni e di disumanate ideologie dei seguaci del Mein Kampf. La lotta contro Hitler non finisce mai. Alla lotta contro Hitler devi prendere parte tu oggi, dentro e fuori di te.

*

7. Ho imparato che se riuscissimo, le persone di volontà buona tutte insieme, a promuovere la pace e la giustizia in terra di Palestina, fra dieci o cinque o tre generazioni non ci sarà più motivo per due stati diversi in quel luogo: venuta la pace, quelle popolazioni si riconosceranno sorelle, si riconosceranno infine una popolazione sola dalle molte preziose radici, una sola umanità come in effetti già sono, come in effetti già è l’umanità intera. Ma oggi, oggi, occorre che nasca subito lo stato di Palestina a fianco dello stato di Israele. Subito. Occorrono subito due stati indipendenti, sovrani, liberi, sicuri, democratici. E’ un passaggio urgente e indispensabile.

*

8. Ho imparato che la massima sciagurata “il nemico del mio nemico è mio amico” è l’idiozia delle idiozie, la scelleratezza delle scelleratezze. Coloro che oggi sostengono i neonazisti del cosiddetto fondamentalismo islamico (ovvero i gruppi politico-militari che si spacciano per islamici, tradendo così l’islam nel suo fondamento stesso ed essendo pertanto in realtà anti-islamici) sono dei folli e dei criminali. Così come coloro che sostengono la deriva militarista e razzista del governo di Israele.

*

9. Ho imparato che essere vivi è l’unico bene che abbiamo senza del quale altro bene non si dà. E che quindi l’uccidere è il crimine che l’umanità deve bandire per sempre.

*

10. Ho imparato che la nonviolenza è l’unica politica adeguata ai compiti presenti dell’umanità.

*

E’ stato detto: neminem laedere. E’ un buon inizio. E’ stato detto: tratta le altre persone come vorresti essere trattato tu. E’ una buona norma. E’ stato detto: ama il tuo nemico. Ed è ben detto. E’ stato detto: nessun essere umano è mio nemico. Ed è ancor più ben detto. Vi è una sola umanità, abbine cura.





HAMAS ESISTE?

17 09 2009

Ponti non muri, dovrebbe costruire Israele. Belle parole, come “fate la Pace”. Ma la realtà qual è?

Perché nessuno si chiede (o preferisce non farlo) quale sia il motivo per cui Israele  ha “dovuto” costruire il Muro?

E’ solo ipocrisia, faziosità, o c’è dell’altro?

E se la situazione cui è assoggettato Israele si presentasse anche in Italia, in Germania, nello Stato Vaticano? I “muri” sono stati elevati anche in altri Stati, ma nessuno ha mai protestato. Se mi sbaglio, correggetemi, fatemelo sapere.

Quanti atti terroristici in meno, quante vite umane ha salvato questo “muro” da quando è stato eretto! Ma ciò non conta. Interessa solo la Palestina.

Ponti, non muri dovrebbe costruire Israele. Dovrebbe cercare la “Pace”! Da fare con “chi”? Con i Palestinesi, ovviamente. Ma chi li rappresenta?

Hamas esiste? O, anche questo, è un ”alibi” di Israele per non ricercare la pace?

Con chi discutere, con chi “tentare” di fare la pace? Con Hamas che vuole “gettare gli ebrei a mare”, e non solo prendere tutti i loro averi? Con Al Fatah, che non rappresenta “tutto” il Popolo palestinese? Un bel dilemma per Israele. Ma è questa la “realtà”. Non si dimentichi che, dall’atto della sua creazione, nel 1948, Israele “ha costruito” tutto l’attuale Stato, uno tra i più moderni del mondo, ha fatto “germogliare” e ha reso fertile il deserto, ha elaborato i sistemi migliori per “economizzare” l’acqua (il bene più prezioso per l’uomo), per “risparmiare” energia (Israele non ha l’oceano di petrolio degli Stati arabi), è all’”avanguardia nell’”alta tecnologia”, un settore che gli è invidiato da tutto il mondo. Questo Stato ha basato la sua esistenza sulla “democrazia”, all’interno di un mondo non solo ostile ma (in buona parte) dittatoriale o, quanto meno, totalitario.

Hamas esiste? Sì, e vuole letteralmente “cancellare” tutto questo.

Che faresti tu (Italiano, Francese, Inglese, ecc.) se il tuo nemico non volesse solo la “tua terra”, ma mirasse a sopprimere proprio te, se considerasse addirittura che tu non esista? Ma da Israele si pretende che faccia la Pace “a qualunque costo”, che costruisca ponti, invece che muri.

Se l’Iran riuscisse a lanciare i suoi missili a lunga gittata in grado di colpire Israele (ammazzare, che bello!), perirebbero anche gli Israeliani arabi, musulmani, cristiani, e non solo quelli ebrei. Oltrechè gli abitanti della Striscia di Gaza. Ahmadinnejad sarebbe, forse, di fronte a questa eventualità inorridito? Ma via!

E che dire dei “lanci di missili” (vedi Hamas) con la volontà (o almeno la speranza) di uccidere il maggior numero possibile di persone (uomini, donne, bambini), nonché provocare danni materiali i più elevati possibili.

Tutti zitti (non una voce contro questi lanci che continuano, ancora oggi, giorno dopo giorno, ci mancherebbe!) dopo il can can dei “soliti noti” (insieme al silenzio “assordante” di quasi tutto il mondo “civile”) prima e durante la Guerra di Gaza (ricordate?) che Israele ha dovuto intraprendere, come al solito,  per reagire agli incessanti e ormai divenuti insopportabili lanci. Che doveva fare uno Stato, che ha come principale compito quello della sicurezza dei propri cittadini? Ma tutto questo non si dice, non si rileva, non conta, non esiste. Sono razzi rivolti agli Ebrei: importa qualcosa?

Hamas esiste?

Anche Israele, a mio modo di vedere (peraltro opinabilissimo e di nessun peso) da cittadino Italiano, commette degli sbagli (che, sempre a mio personale avviso, si ripercuotono prevalentemente contro lo stesso).

E’ proprio necessario costruire insediamenti all’interno di territori che dovranno  (inevitabilmente) essere restituiti ai Palestinesi. Non insegna nulla l’evacuazione degli Israeliani dalla Striscia di Gaza voluta dall’ex Premier Ariel Sharon? Che sarebbe accaduto a quegli stessi ebrei “riportati” in Israele, dopo che Hamas ebbe preso il potere in tutta la Striscia?  

Ripensamenti sugli accordi presi con Abu Mazen dai precedenti Governi  israeliani? Sono proprio opportuni? E se i Palestinesi (ma, mi chiedo nuovamente,  chi li rappresenta?) si comportassero allo stesso modo, che cosa direbbe Israele? Come minimo che “essi” sono inaffidabili.

Tuttavia, personalmente debbo riconoscere anche che non ho titolo, né la facoltà di sindacare né, tantomeno, di giudicare le scelte e l’operato di coloro che “vivono” quotidianamente la realtà Israeliana. Peraltro, le critiche le fanno (e sempre le hanno “democraticamente” rivolte puntualmente ai vari Governi che si sono, via via, succeduti dal 1948) tanti autorevolissimi intellettuali Israeliani. Facile è emettere giudizi stando al di fuori di Israele.

Vi risulta che ci siano “voci” di dissidenti Arabi all’interno dei Paesi in cui risiedono? Ve ne sarò grato se me le segnalerete.

Criticare i Governi d’Israele è legittimo. Spronare gli stessi ad  “impegnarsi di più” per raggiungere una Pace duratura con i Palestinesi, pure.

Ma è possibile che nessuno (neppure Papa Benedetto XXVI durante il suo recente viaggio in Giordania ed Israele) di fronte all’”obbrobrio” del Muro faccia mai un richiamo alla funzione di Hamas nel processo di Pace.

Hamas esiste, opera, o è un’entità puramente astratta?

Il Muro non è stato eretto da Israele proprio per limitare, quanto più possibile, gli atti terroristici di Hamas?

I missili che continuano a piovere dalla striscia di Gaza, chi li lancia? Perché li lancia? Come vivono questa situazione gli Israeliani? Sono solo i Palestinesi che “soffrono”? Gli Israeliani, no?

Ci vorrebbe così poco per stare tutti in Pace! E’ vero. Ma ci vorrebbe la volontà da parte di entrambi i Popoli di volerla realmente. Quando uno dei due desidera solo l’eliminazione dell’altro, l’usurpazione delle sue terre, il “furto” di tutti gli averi dell’altro, qual è l’alternativa? Ditelo!

Quanta ipocrisia, quanta malvagità, quanta aridità d’animo!

Hamas esiste?





RAZZISMO NON E’

16 09 2009

SINONIMO DI “ANTISEMITISMO”.

Anzi.

Non lo è perché, in primo luogo, esso è un termine errato sotto il profilo puramente lessicale. Infatti l’Ebreo, inteso (così come il Cristiano e l’Islamico) quale professante una confessione religiosa, non appartiene ad una “razza“.

Si può parlare, infatti, di un “Popolo ebraico”, anche se questa dizione fa storcere la bocca a molti (troppi).Gli stessi che, però, accettano di buon grado sentire parlare di popolo Abruzzese, Sardo, Lombardo, ecc. pur appartenendo questi popoli ad un unico “popolo Italiano”. 

In secondo luogo non lo è, anzi, proprio perché, con la scusa di “trattare” di razzismo (termine che, pur impropriamente, nell’immaginario collettivo dovrebbe includere l’anti-semitismo), si accusano gli Ebrei stessi (attenzione: non gli Israeliani) di  “razzismo”.

Basti al proposito richiamare le due Conferenze ONU sul Razzismo organizzate, la prima (Durban I) a Durban, in Sud Africa il 3.09.2001, e la seconda, Durban II a Ginevra, recentemente, il 19 aprile 2009. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

E poi si accusano gli Ebrei (tra le mille altre odiose calunnie e falsità profuse a piene mani) di “controllare” anche l’ONU. Bella faccia tosta!

Ormai da tempo fa buon gioco agli “antisemiti di professione” di nascondersi dietro all’anti-sionismo per mascherare quanto, in realtà, intendono. E non si tiri in ballo il fatto che Israele (non il governo in carica di questa Nazione) è “criticabile” come ogni altro Pese del mondo (con riferimento al quale, tuttavia, non viene mai messa in discussione la sua “esistenza”). Certo che la critica è lecita (aggiungerei, sacrosanta). Che essa esista, peraltro, è dimostrato ogni giorno, nella stessa Israele da parte dei suoi numerosi intellettuali e scrittori di punta. Non ho notizia, mi piacerebbe molto essere smentito, di Islamici che, all’interno del “proprio Stato”,  lo abbiano “criticato” in qualche modo.

Come quando, a riguardo dell’”estremismo islamico”, si dice trattarsi di azioni che i “moderati” Islamici non appoggiano, né condividono. Personalmente, però, non l’ho mai sentito affermare, esplicitamente, da chi rappresenta questi moderati Islamici. Dove sono? E, si badi bene, io sono il primo a sostenere che questi estremismi non hanno nulla a che spartire con Religione Islamica e, men che meno, con il Corano [si veda il mio DOWNLOAD].

Mi piacerebbe tanto essere smentito.

Né mi risulta che il Vaticano, presente a questa seconda Conferenza ONU sul razzismo, abbia mai usato (né prima, né durante, né alla sua conclusione) il termine antisemitismo, se non altro in aggiunta a razzismo. Anche qui sarei veramente felice di essere smentito!

Al momento non voglio aggiungere altro (ma mi riservo di farlo).

Sono amareggiato (quale eufemismo) per la faziosità, livore, odio, disonestà intellettuale, pregiudizi che contraddistinguono coloro che “criticano giustamente” Israele (ovviamente, sottinteso, Ebrei).

Un dubbio. Non è che si intende trasformare il termine “antirazzismo” in sinonimo di antisemitismo?

Quanta falsità. Quanta amarezza!





LA PACE POSSIBILE

6 09 2009

tra due popoli che reclamano “solo” il diritto di vivere

 

PREMESSA

Conflitto israelo- palestinese.

Le ragioni ed i torti degli uni si intrecciano con i torti e le ragioni degli altri. Un duplice dramma.

Si riuscirà mai ad uscire da questa situazione tanto intricata quanto insostenibile?

Sì, ma solo quando si perverrà ad un “compromesso onorevole” per entrambe le parti.

Per giungere a ciò, è però necessario “ribaltare” l’approccio fino ad ora prevalente: sostenere solo  i propri diritti,  senza considerare quelli della controparte. Parlare, quasi sempre urlare, senza quasi mai “ascoltare”.

In assenza di un atteggiamento “empatico” [1] non si va lontano nelle dispute più complicate, quale quella in argomento.

Non farebbe neppure male riuscire a guardare al di là del proprio naso, tenendo sempre in conto che nulla è più sacro della vita, di qualunque essere umano.

Con queste brevi note non si intende suggerire niente ad alcuno, tantomeno come dovrebbero comportarsi i Governanti dei due Popoli in perenne conflitto. Sarebbe sciocco, ancor prima che presuntuoso: chi sono io?

Quindi solo alcune riflessioni a ruota libera.

E’ mia intenzione, per ogni tematica affrontata, mettere in relazione i punti di vista sia di Israeliani sia di Palestinesi.

 

Il “MURO”

Dopo i quasi diuturni attacchi terroristici da parte di kamikaze palestinesi, che perduravano da anni seminando morti e feriti tra civili inermi, Israele decise la costruzione del ”muro” a protezione dei propri cittadini.

Questo è il primo dovere di uno Stato: difendere l’incolumità di coloro che vivono nello stesso.

Israele, di fronte a mali estremi, mise in atto un “estremo rimedio”. Quale Nazione, nelle stesse condizioni, non avrebbe agito similmente? Senza ipocrisia…..

Costruire ponti invece di separazioni! Belle parole, ma come realizzare questo nella pratica se non esistono le condizioni “minime” per poterlo fare?

Dopo la costruzione del muro, gli attentati terroristici diminuirono drasticamente: era questo l’unico obiettivo d’Israele.

Non va neppure dimenticato (lo si fa troppo spesso, in mala fede) che, anche in questo frangente, Israele “reagisce” ad una provocazione, che viene da parte palestinese, e non viceversa.

 

Da parte dei Palestinesi, ovviamente, questa “costruzione” è vista come una maledizione, per due motivi.

In primo luogo, per le famiglie palestinesi che si ritrovano “divise” dal muro, ciò crea forti disagi (un eufemismo?), sotto l’aspetto sia pratico sia psicologico. In secondo luogo, i Palestinesi vedono questa costruzione come futuro confine che dovrebbe dividere i tanto auspicati “due Stati”: Israele e Palestina.

Personalmente ritengo possano esservi le condizioni politiche per “limitare” al massimo il “peso” di questo muro.

Ci vorrebbe una netta presa di posizione da parte dei Palestinesi per evitare gli attacchi terroristici dei kamikaze (è questa l’unica causa della costruzione del muro). Contestualmente (raggiunta tale condizione essenziale) ci vorrebbe pure da parte d’Israele una propensione a “correggere” quanto di negativo ciò comporta per i Palestinesi.

Una pura utopia?

Mi auguro non lo sia!  

 

HAMAS

 

Praticamente, in modo diretto o indiretto, quasi tutto il mondo vorrebbe che Israele, in nome del “processo di pace”, trattasse anche con Hamas. Un movimento politico che vuole esclusivamente la distruzione d’Israele e l’annientamento fisico degli ebrei. Un’emanazione preminentemente antisemita, ancor prima che anti-israeliana. Gli scettici (non certo gli antisemiti inveterati) dovrebbero, se lo desiderano, leggersi lo Statuto di Hamas. Ecco l’URL: 

http://it.wikipedia.org/wiki/Hamas#Statuto_di_Hamas_del_1988

Ora, per quale motivo uno Stato dovrebbe trattare con chi non solo non lo riconosce, ma vuole la sua “totale eliminazione dalla faccia della terra”.

Qualcuno è in grado di smentirmi?

Che se ne farebbero gli Israeliani, da “morti”, di una trattativa di tal genere con Hamas?

 

I Palestinesi (anche quelli di Al Fatah, il cui Presidente è Abu Mazen), nonché molte nazioni non solo arabe, sostengono che Hamas va “consultato (?!)” poiché è stato eletto “democraticamente”. Il che vuol dire con la “maggioranza numerica”, che non necessariamente, però, ha qualcosa a che vedere con la democrazia, avente una valenza preminentemente etica, di rispetto di una persona per l’altra.

Occorre, ancora una volta, ricordare che anche Hitler fu eletto democraticamente?

Solo in ciò stà il “nocciolo” del “trattare con Hamas”. Si dovrebbe discutere con una parte che vuole solo la mia distruzione, il mio suicidio, rubare la mia terra con  tutto quello che in 60 anni ho costruito veramente con il sudore della mia fronte?. Perché mai? Che senso avrebbe? A quale “accordo” si perverrebbe? [2]

Chi mi può smentire, senza ipocrisia, settarismo, malafede?

Sarei contento di saperlo.

 

Da parte Israeliana viene rilevato che anche Al Fatah (in cuor suo, pure se in modo meno palese) non desidera la pace con Israele, ma solo raggiungere ciò che “spera” lo stesso Hamas (e Iran, Siria, ecc.).

Mi rifiuto di crederlo! Penso che i “popoli” israeliano e palestinese (uomini, donne, bambini) ambiscano innanzitutto a vivere e non a morire (per quale causa? Un pezzo di terra? La scomparsa d’Israele?).

Mi rifiuto di credere che Israele un giorno (non so quando: spero quanto prima) non possa vivere in PACE.

Mi rifiuto di pensare che i Palestinesi non vogliano vivere (piuttosto che immolarsi), progredire, prosperare, far crescere i propri figli per farli diventare non dei “martiri” ma delle persone aventi le stesse opportunità di ogni altro uomo o donna.

Mi rifiuto di crederlo perché, per me, nulla è più sacro della vita umana

Non   dobbiamo disperare, ma dare il nostro (per quanto insignificante) contributo per debellare quanto c’è di male.

BOZZA

 

  • Il “muro”
  • Hamas
  • Due Popoli, due Stati
  • Il ritorno dei  “profughi”
  • L’ informazione “falsificata”
  • Rispetto accordi Governi precedenti
  • Altri  temi

 

 

  

 Argomenti correlati

[1] Empatia, un antidoto contro ogni violenza

[2] Hamas esiste? 

In elaborazione





CREATIVITA’, UN “DONO”

21 05 2009

OFFERTO A “TUTTI”

 

Da sempre sono fermamente convinto che la creatività sia un dono offerto a tutti, indistintamente. Varia, da individuo ad individuo,  solo il suo “grado” e, soprattutto, la capacità e la volontà, da parte dello stesso, di farne un buon uso.      

La persona si distingue dagli altri esseri viventi per varie peculiarità, prima fra tutte la creatività. Questa specificità umana ha permesso agli individui di progredire, offrendo  loro anche la capacità di “inventarsi” di volta i volta gli strumenti necessari per meglio adattarsi all’ambiente in cui vivevano, nonché di “manipolare” (spesso e volentieri, purtroppo,  anche a sproposito) l’ambiente, plasmandolo a seconda delle proprie esigenze.
Ogni essere umano è dotato di una “creatività potenziale”, la quale, proprio perché tale, necessita solo di essere adeguatamente stimolata e quindi “liberata”. 
Viene spesso da chiedersi quanti talenti siano stati sicuramente sprecati solo perché le circostanze e l’ambiente in cui gli esseri umani vivevano non hanno permesso loro neppure di rendersi conto delle proprie potenzialità innate (si pensi alla moltitudine di bambini che muoiono, ogni giorno, per fame o malattie in tutto il mondo).
Pochi sono tuttavia coloro che, dal “parto” della propria mente, sono in grado di creare una “novità” utile o, quantomeno, proporre qualcosa di accettabile da un gran numero di individui. Non si deve, infatti, confondere mai l’originalità, la bizzarria fine a se stessa, con la creatività. 
Argomentare sulla creatività significa  prendere atto che tutto ciò che è frutto del pensiero umano, sia esso trasformato in un prodotto materiale o mantenuto a livello di processo mentale, nasce sempre da un’idea.
La creatività è il dono principale che la persona ha per mutare, in tutti i campi dello scibile, la “staticità in dinamicità”, condizione irrinunciabile per l’evoluzione del genere umano.

Quasi sempre si cerca di prevedere il futuro “estrapolandolo” semplicemente dal passato: corsi e ricorsi della storia, si usa dire. Ma c’è da chiedersi se questo sia veramente il  modo più razionale di procedere, o non sia invece preferibile “modellare” l’evoluzione del futuro progettandolo in modo creativo, quando l’obiettivo che si intende conseguire è proprio il “miglioramento del presente”.Solo chi ha avuto il coraggio, l’intuizione, la forza di volontà di non accettare alcunché come acquisito, mettendo tutto in discussione e ricercando in continuazione, ha veramente contribuito a “modificare il nostro mondo”.

Il motivo per cui niente è statico ma tutto è in perpetuo cambiamento, si ricollega al fatto che non esiste in alcun campo la “sicurezza assoluta” di riuscire a conseguire i risultati concreti che vengono, via via, prefissati: l’unica vera certezza è che tutto è incerto, precario. 

Le grandi scoperte in ogni campo sono un “dono” all’umanità fatto da uomini geniali che, soprattutto sotto la spinta di una impulso personale, sono andati contro corrente, rischiando in proprio, “creando” ciò che si erano tenacemente prefissi di conseguire (il Volli, sempre volli, fortissimamente volli di Vittorio Alfieri) come meta da raggiungere. Sono stati loro che hanno avuto la capacità di “vedere”  ciò che era sotto gli occhi di tutti, ma nessuno notava.

La mente superiore di Michelangelo, ad esempio, riusciva a “vedere” in un blocco amorfo di marmo, pesante varie tonnellate, un suo “potenziale” capolavoro. I suoi “Mosè e La Pietà” erano “già dentro il marmo”, ma solo un genio, quale appunto era Michelangelo, poteva “immaginarli” e, grazie all’estrema maestria delle sue mani, “estrarli” facendoli “vivere”. Lo stesso Michelangelo amava proprio dire che si era limitato a togliere “il superfluo”.
Solo chi “fermamente vuole” (condizione necessaria, ancorché non sufficiente) raggiungere uno scopo nella vita, sarà in grado di conseguire un obiettivo eccellente. Ciò in quanto alle indispensabili capacità innate, detta persona abbina sicuramente insieme l’amore per quello che fa, la tenacia, la fiducia in se stesso, una sempre presente curiosità. E’  certo che né Einstein né Edison smisero mai di porsi domande.
Su che cosa si debba intendere per creatività appaiono, tuttavia, opportune alcune riflessioni.

Innanzitutto, è fuorviante pensare ad una conoscenza acquisita una volta per tutte. Il “sapere” non è mai statico bensì “fluido”: si amplia, si modifica, si evolve continuamente in relazione a nuove scoperte che, talvolta, conducono persino a rivedere radicalmente le certezze del passato.  Ciò può essere fatto proprio solo da chi considera il sapere come un bagaglio di conoscenze cui va sempre aggiunto, scambiato o anche tolto, se necessario, qualcosa. Nessuno può pensare di “conservare” la conoscenza, poiché la stessa richiede di continuare sempre ad imparare.Lo stesso Albert Einstein ebbe a dire che “I problemi che abbiamo non possono essere risolti allo stesso livello di pensiero che li ha generati”.

Una cognizione è sempre collegata ad un’altra, ed è dal loro complesso intreccio che scaturisce il sapere. In definitiva, creatività è, semplicemente, quella particolare capacità

della mente umana di elaborare soluzioni, più che innovative,  ”completamente nuove” per i più svariati problemi, di lasciare sempre spazio non ad una sola, ma a varie alternative.

L’innovazione è tutt’altra cosa della “creazione” di qualcosa ancora non ideato. 

La creatività presuppone la rottura con i soliti schemi mentali e strettamente logici. In altri termini richiede uno “strappo” con il normale modo di pensare, per connettere tutto ciò che di solito è separato, per una produzione di nuovi punti di vista attraverso un’associazione analogica.

Per sviluppare la creatività, non è neppure indispensabile l’esperienza, il bagaglio cognitivo. Anzi, talvolta, essi possono essere addirittura d’intralcio.

Le teorie nuove nascono spesso da “costrizioni” a riesaminare quelle vecchie. Le scoperte scaturiscono solo quando si elaborano in modo nuovo dati scientifici o tecnici che, prima, nessun altro aveva mai messo in discussione.

Non ci ricorda nulla lo “ipse dixit” riferito all’autorità indiscussa di cui per lungo (forse troppo) tempo godette Aristotele?

Secondo gli studiosi della tematica, il luogo comune che vede la creatività paragonata ad un lampo di genio, deve essere decisamente sfatato.

La “genialità” può essere considerata sinonimo di creatività. Per genio (dal latino genius, dal verbo genere, generare, creare) s’intende quella speciale attitudine naturale atta a produrre opere di importante rilevanza artistica, scientifica, etica o sociale. Tale disposizione naturale può anche essere portata alla luce con l’educazione ma  non può essere trasmessa ad altri (i figli o i discepoli dei geni molto raramente eguagliano i padri o i maestri). Il termine genio può anche genericamente indicare la persona stessa in possesso di tale eccezionale capacità [Wikipedia l’Enciclopedia].

Non è chiaro se sia stato Hemingway oppure  Einstein a dire ” La creatività è 1% ispirazione e 99% traspirazione (sudore, fatica). Tuttavia, è proprio così che la pensa gran parte degli studiosi.

Per essere creativi non necessariamente bisogna essere intelligentissimi. Questa è una condizione necessaria ma non sufficiente.

La creatività non è la magica esplosione di un’idea, né un flash abbagliante, ma una catena di reazioni che connette molte piccole scintille sparse (R. Keith Sawyer, Psicologo della Washington University).

Mozart a tre anni suonava già il violino, ed a sette componeva sinfonie (rivelazione di eccellenza), ma solo nella tarda adolescenza ha prodotto la musica che lo ha reso immortale (grazie alla sua genialità).

Solo quando Einstein si è applicato rigorosamente al campo che lo appassionava, e per cui era dotato, è esplosa tutta la sua genialità. A proposito della matematica, egli ebbe a dire “Se voi pensate di avere delle difficoltà, dovreste vedere le mie” (la modestia era, per lo Scienziato, pari alla sua grandezza).

Il mondo occidentale deve il suo progresso principalmente all’impiego del pensiero logico, razionale, che ha rappresentato (e tuttora lo costituisce) la nostra maniera naturale di pensare.  Esso consiste nel partire da una serie di molteplici spunti per arrivare ad individuare “l’unica”   risposta giusta ad un dato problema.

Invece, è pure possibile affrontare un problema non frammentandolo in vari elementi collegabili rigidamente l’uno all’altro (analisi), ma in maniera ramificata (uno sguardo a 360°) la quale, partendo da un punto ben definito (stimolo) sfrutta le associazioni di idee per sviluppare il molteplice, il probabile, il diverso. Questo approccio alternativo rappresenta il prevalere dell’incertezza sulla sicurezza, dell’ignoto sul conosciuto.

Chi ha studiato a fondo l’intera problematica della creatività (anche quella inerente all’applicazione pratica al mondo del lavoro) è lo psicologo maltese Edward de Bono [bibliografia], che tiene ancora oggi corsi ad alto livello in tutto il mondo.

Egli chiama verticale il pensiero logico tradizionale: un ragionamento rigorosamente vincolato dal rispetto degli schemi di riferimento e dai limiti del problema. Si fonda sulla progressione analitica e sequenziale, la linearità. E’ grazie a questo tipo di pensiero che noi riusciamo a “concludere” qualcosa, a trovare cioè quella (e nessun altra) linea di azione che va perseguita con estrema precisione.

Esattamente secondo una logica opposta funziona invece il pensiero laterale (talvolta citato anche come pensiero divergente), termine ideato proprio da De Bono nel 1967. Il pensiero laterale, partendo da un punto ben definito (stimolo), sfrutta la potenza delle associazioni per sviluppare il molteplice, il probabile, il diverso. Si tratta, nella sostanza, di un modo di pensare “libero” di spaziare in ogni campo dello scibile umano, senza vincoli di alcun tipo. L’espressione “pensiero laterale” è ormai acquisita a livello internazionale. Lateral thinking è un termine entrato ufficialmente a far parte della lingua inglese (Oxford English Dictionary) e tradotto in numerosi altri idiomi.

Il ragionamento  di tipo razionale si muove lungo “binari” già predisposti secoli addietro, e dai quali non può (in linea di principio) deragliare. Il pensiero laterale è invece portato a ricercare nuove strade.

E’, tuttavia, dall’utilizzo equilibrato di entrambi i ragionamenti che scaturiscono i risultati migliori. Bisogna saper  sfruttare bene i punti a favore di ciascuno dei due metodi, che non sono alternativi l’uno all’altro, per potersi avvantaggiare sinergicamente del loro potenziale.

Ci si deve sempre di più convincere che ogni persona è dotata di facoltà intellettive che le permettono di far uso di entrambi i pensieri, sia verticale sia laterale.

I differenti risultati che possono scaturire dall’impiego dei due modelli di ragionamento possono essere accomunati, per analogia, a ciò che accade facendo una scommessa.

Ad alte probabilità di cogliere un pronostico (pensiero verticale, logico) fa riscontro una scommessa a basso rischio che, pertanto, viene remunerata con una “piccola vincita”. Viceversa, ad una bassa probabilità di cogliere il segno (pensiero laterale), corrisponde una scommessa ad elevato rischio, per la quale ci si può invece aspettare una “grande vincita”. Gli stessi meccanismi possono essere traslati, rispettivamente, ai due tipi di pensiero. 

L’impiego della creatività non ha limiti, essendo essa utile in ogni campo della vita delle persone. Ciò anche in relazione al fatto che tale prerogativa dell’uomo rende la vita più divertente, più interessante, più vivace, più elettrizzante. Per questo tutti dovrebbero ambire ad essere creativi.

La stessa “scoperta” di possedere un talento, una particolare attitudine, una qualunque dote personale, costituisce un atto creativo (in quanto tale “autocoscienza” può trasformare la propria vita).

Intendo proporre al riguardo solo alcuni significativi (in quanto, forse impensabili), esempi.

Potrebbe apparire infatti strano, ma non lo è affatto. Anche nello sport e in campo religioso può diventare utile l’impiego della creatività.

Tiger Woods, l’attuale più grande campione di golf, ed uno dei maggiori tutti i tempi, ha imparato ad usare la mazza da golf (si dice..) prima di camminare, ma è stato l’inflessibile allenamento a farne il migliore. Egli così si espresse “Sapete che cosa ho scoperto sulla fortuna? Più mi alleno e più sono fortunato!

Dick Fosbury alle Olimpiadi estive del 1968 vinse la medaglia d’oro nel salto in alto  grazie ad una “nuova tecnica” da lui stesso ideata e che, tuttora porta il suo nome. Anche se questo metodo fu utilizzato da alcuni singoli atleti già negli anni precedenti, non sortì alcunché di rilievo. Fu solo grazie ai successi di Fosbury che la tecnica ebbe un grande seguito, ed è oggi praticamente l’unica utilizzata a livello agonistico. Il salto Fosbury, o semplicemente Fosbury, è una tecnica che si differenzia da quelle precedenti per il fatto che l’atleta passa l’asticella con la schiena rivolta verso la stessa (scavalcamento dorsale): il centro di massa rimane sotto l’asticella, per cui lo sforzo è minore rispetto allo scavalcamento verticale (scavalcamento ventrale, prevalentemente usato prima del 1968) per gli stessi risultati.

Ci si potrà, inoltre, domandare se sia mai possibile concepire una genialità teologica. Ad avviso di chi scrive, indubbiamente sì.

Il termine di “creatività o genialità”, troppe volte abusato o utilizzato impropriamente, può essere fatto proprio per “rompere” con alcuni schemi religiosi che non solo hanno procurato un gran male ad altri esseri umani, ma che erano fortemente in contrasto con gli stessi dettami della propria religione.

Ci si intende riferire, in proposito, al riavvicinamento fra la religione cattolica e quella ebraica, dopo l’esperienza traumatica della Shoà. Non desidero assolutamente ripercorrere quanto ho più volte espresso in molti miei scritti [si veda il DOWNLOAD] ma solo rimarcare l’assoluta genialità esplicitata, non solo a parole ma anche e soprattutto con i fatti, da due Grandi Papi: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.    

Non solo. La creatività in campo politico può rivelarsi più che opportuna, anche per il fatto che ha un impatto su un numero immenso di individui. Basti, al riguardo, riflettere a quali cambiamenti (rivoluzioni?) abbiano contributo personalità quali F. D. Roosewelt, M. K. Gandi, M. L. King, ed altri ancora.  

E che dire a riguardo di soluzioni per questa stessa crisi mondiale che stiamo proprio ora attraversando? Un “terremoto universale” (che purtroppo si aggiunge a quello reale dell’Abruzzo), che ha investito non solo la finanza mondiale, ma la stessa economia internazionale. L’impatto ambientale: un disastro (vogliamo autodistruggerci?). La carenza di acqua potabile. Le guerre continue. Il problema energetico. Non sarebbe il caso di “darci finalmente un taglio”?

Solo facendo ricorso alla Creatività si potrebbe evitare di fare un ulteriore passo verso il baratro. L’ho scritta con C maiuscola, perché ce ne vorrebbero dosi massicce per rimediare ai mali, forse ancora “non” irreparabili, che noi stessi, “persone, esseri unici??”  abbiamo prodotto.

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Sono stati editi numerosissimi libri per “stimolare” la creatività [bibliografia]. Questo dono esclusivo dell’uomo, non si può infatti “insegnare” (altrimenti non sarebbe tale); ma  sollecitare a farne buon uso, questo sì.

Forse sarebbe utile, ogni tanto, fermarsi a riflettere, a cercare di guardare oltre la punta del proprio naso, a non continuare a procurarsi un alibi per non far nulla dicendo a se stessi si è fatto sempre così, ad andare ogni tanto controcorrente, a ricercare analogie nei campi più disparati.

 

BIBLIOGRAFIA

 [  1]  E. De Bono – Essere creativi- Il Sole 24 ore, 1992

[  2]  E. De Bono – Serious creativity – Harper Collins

[  3]  E. De Bono – Il meccanismo della mente- Superbur, 1967

[  4]  E. De Bono – Creatività e pensiero laterale- Rizzoli, 1998

[  5]  E. De Bono – Il pensiero laterale- Rizzoli, 1996

[  6]  E. De Bono – Sei cappelli per pensare- Bur, 1994

[  7]  A. Dale Timple -Creatività e innovazione – Armenia Ed.

[  8]  Kenichi Omahe – The mind of the strategist – Ipsoa

[  9]  R. Weisberg – Guida alla creatività – Editrice Meb

[10]  G.C. Cocco – Creatività, ricerca e innovazione – Franco Angeli

[11]  A. Amadori, N. Piepoli – Eureka! Manuale di creatività – Espansione

[12]  S. Gawain – Creative visualisation – Bantam Books

[13]  D. Goleman-Emotional intelligence- Bentam Book, 1995

[14]  J Rifkin – Entropia. Una nuova concezione del mondo – Mondatori

[15]  R. Vacca – Rinascimento prossimo venturo – Bompiani

[16] J. Naisbitt – Megatrend – Sperling & Kupfer